La Sclerosi Laterale Amiotrofica è sicuramente la più comune e rapidamente progressiva tra le patologie del motoneurone (MND). Nonostante numerosi sforzi siano stati compiuti nel corso degli anni, manca ancora una terapia che possa incrementare in maniera significativa la sopravvivenza dei pazienti, stimata in media intorno ai 3-5 anni dall’esordio della sintomatologia1. Il Riluzolo, il primo farmaco approvato per la SLA, conferisce un beneficio di circa 3-4 mesi2, mentre Edaravone sembra rallentare la progressione di malattia misurata mediante la ALS Functional Rating Scale- Revised (ALSFRS-R) solo in un sottogruppo di pazienti e non sono ancora chiari i dati sulla sopravvivenza3. Negli ultimi cinquanta anni sono stati effettuati più di 50 differenti studi clinici randomizzati controllati (RCTs), ma nessuno ha mostrato risultati positivi.
Numerosi e differenti motivi sono alla base di questo fallimento. Se da un lato alcune ragioni possono essere correlate con il disegno degli stessi trial clinici4, dall’altro lato il ruolo principale è giocato dalla natura eterogenea della patologia in cui differenti pathways molecolari sembrano essere coinvolti5. I numerosi geni coinvolti nei casi di SLA familiare insistono, infatti, su meccanismi cellulari implicati in processi estremamente differenti. Dalla scoperta di SOD1 e l’identificazione dello stress ossidativo come causa di neurodegenerazione-SLA correlata, numerosi altri fattori sono implicati nel danno neuronale in pazienti con SLA. La massiva espansione dell’esanucleotide G4C2 nel gene C9orf72 rappresenta l’alterazione genetica più comunemente riscontrata nei casi di SLA familiare. Questa espansione conduce alla formazione di strutture proteiche capaci di alterare il metabolismo cellulare dell’RNA, l’autofagia ed il turnover proteico nelle cellule neuronali. Altri casi di SLA familiare sono stati associati a geni implicati nel corretto mantenimento del citoscheletro, del reticolo endoplasmatico e del traffico endosomiale5. Il grado con cui ciascuno di questi fattori contribuisce alla patogenesi della più comune SLA sporadica non è stato ancora accertato e probabilmente non tutti questi meccanismi sono coinvolti in ogni caso di malattia. Pertanto, piuttosto che una singola patologia, la SLA sembra essere un gruppo di patologie che differiscono nei meccanismi patogenetici e che sono accomunate dalla degenerazione della “via finale comune”, il sistema cortico-spinale.
Negli ultimi anni, crescente attenzione è stata riservata anche alle cellule non neuronali che costituiscono il microambiente corticale che fornisce il supporto metabolico ai motoneuroni ed ai loro assoni. Studi di neuroimaging e post-mortem hanno messo in evidenza la presenza di neuroinfiammazione nella corteccia motoria dei pazienti affetti da SLA. La microglia, il principale effettore infiammatorio nel SNC, può presentare due stati di attivazione: il fenotipo M1 neurotossico ed il fenotipo M2 neuroprotettivo. Dati derivanti da topi SOD-1 suggeriscono che durante il decorso di malattia, la microglia evolva progressivamente verso un fenotipo M1 neurotossico.
Altri studi hanno documentato, inoltre, una correlazione inversa tra i livelli ematici totali di linfociti T regolatori ed il tasso di progressione della malattia: in particolare bassi livelli di Treg sono stati riscontrati in pazienti con SLA a rapida progressione6. Data la capacità dei Treg di infiltrare il SNC e sopprimere la neuroinfiammazione, si pensa che questo effetto possa essere dovuto ad una mancata facilitazione dello stato M2 neuroprotettivo della microglia indotta dai linfociti T regolatori6.
Numerosi sforzi sono stati fatti con lo scopo di sviluppare nuovi farmaci capaci di bloccare la neuroinfiammazione in pazienti con SLA. Un trial clinico di fase 2 con Masitinib, un inibitore orale della proliferazione della microglia mediata dal Macrophage Colony Stimulating Factor 1 (CSF1R), ha recentemente dimostrato efficacia nel rallentare la progressione di malattia di circa 3 punti di ALSFRS-R nel periodo di trattamento di 48 settimane7.
Altri studi sono stati condotti con l’intento di espandere in vivo la popolazione dei Treg e favorire la persistenza di uno stato neuroprotettivo della microglia. Un primo trial clinico con Interleuchina-2, una citochina capace di espandere la popolazione di linfociti T, ha dimostrato un incremento nel numero e nella capacità soppressiva dei linfociti T regolatori in pazienti affetti da SLA8. Tuttavia non sono state registrate differenze rispetto al gruppo di controllo negli outcome secondari quali la progressione di malattia (ALSFRS-R) e la funzionalità respiratoria (FVC%).
Recentemente sono stati pubblicati i risultati di un altro trial clinico disegnato con l’intento di testare l’efficacia di una terapia immunosoppresiva in pazienti affetti da SLA. In questo studio sono stati utilizzati Basiliximab, Solumedrol, Tacrolimus e Micofenolato Mofetil capaci di modulare la risposta neurotossica e di favorire l’attività dei linfociti T regolatori. Lo studio, pur riportando un incremento della concentrazione di IL-2 nel CSF, non ha documentato differenze significative nella concentrazione di linfociti T regolatori periferici ed anche il decorso clinico della patologia è rimasto invariato9.
Lo studio recentemente pubblicato su Neurology, Neuroimmunology and Neuroinflammation è il primo trial di fase 1 disegnato per testare l’efficacia sia laboratoristica che clinica di infusioni di linfociti T-reg autologhi in tre pazienti affetti da SLA10. Tali cellule venivano precedentemente prelevate dallo stesso paziente mediante leucoaferesi ed espanse in vitro con IL-2 e Rapamicina con l’intento di ripristinare la loro fisiologica capacità immuno-soppressiva. Lo studio ha documentato un rallentamento nella progressione di malattia misurato mediante la Apple ALS Rating Scale (AALSRS) e la ALSFRS-R nelle settimane in cui i pazienti eseguivano le infusioni di linfociti T reg. Inoltre, la funzione soppressiva dei linfociti T regolatori era correlata con la AALSRS: in particolare maggiore era l’incremento nella capacità soppressiva delle cellule infuse, più lento era il tasso di progressione di malattia. Questa correlazione suggerisce la possibilità di utilizzare questo parametro laboratoristico anche come biomarker per monitorare la progressione di malattia. Da un punto di vista della safety, durante il trattamento è stato registrato un incremento significativo della frequenza, intensità e distribuzione delle fascicolazioni che suggerisce una modulazione immunitaria da parte dei linfociti sui motoneuroni inferiori. I pazienti testati hanno riportato, inoltre, infezioni del tratto respiratorio o gastrointestinale e non si può escludere che il trattamento combinato con IL-2 e T-reg provochi un incremento nel rischio di infezioni. Queste potenziali conseguenze andranno valutate con attenzione, in particolare nella popolazione fragile dei pazienti affetti da SLA.
Questo studio, seppur innovativo e promettente, presenta tuttavia numerosi limiti. Il campione di trattamento era rappresentato, infatti, solo da tre pazienti e nel disegno dello studio non è stato incluso un gruppo di controllo con placebo. Pertanto futuri trial clinici di fase due, che includano un ampio numero di pazienti e che siano controllati a doppio cieco con placebo, sono necessari per chiarire l’efficacia e la tollerabilità delle infusioni autologhe di linfociti T regolatori in pazienti affetti da SLA.
Antonio FASANO (Modena)
References:
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