Esistono due classificazioni: ICSD-3 (International Classification of Sleep Disorders nella sua terza edizione del 2014, la più usata) e il DSM-V (che include categorie singole e miste). L’ICSD-3 include 7 categorie diagnostiche con circa 60 disturbi diversi, ridotti rispetto agli 80 della precedente classificazione: insonnia, disordini del respiro correlati al sonno, ipersonnia di origine centrale, disordini del ritmo circadiano, parasonnie, disturbi del movimento associati al sonno e altri disturbi del sonno.

INSONNIA
Nella classificazione occupa un ruolo di rilievo l’insonnia, considerata una patologia con caratteristiche specifiche nella classificazione ICSD-3. Il paziente può presentare uno dei seguenti 3 sintomi: difficoltà all’addormentamento, risvegli frequenti e risvegli precoci, nonostante abbia la possibilità di dormire di più, associato ad una ripercussione negativa (daytime dysfunction) durante la giornata. I pazienti affetti da insonnia hanno infatti, tra gli altri, difficoltà a concentrarsi, nervosismo e problemi di memoria. L’insonnia è associata a fattori predisponenti biologici (età, sesso, cronotipo e livelli di orexina, più alta nell’insonne). I fattori psicologici (stress-correlati) rappresentano un importante fattore precipitante. I fattori perpetuanti, che cronicizzano il disturbo, sono spesso i farmaci utilizzati per l’insonnia in maniera cronica, insieme a concezioni sbagliate e comportamenti disperati in merito al disturbo. Questa cronicizzazione dell’insonnia non è infrequente. Spesso l’insonnia acuta viene trattata con farmaci per lunghissimi periodi portando ad assuefazione e tolleranza. I farmaci invece, vanno assunti quando si ha sonno. Un errore comune è prescriverli ad orari stabiliti e fissi per tutti. Altri fattori di rischio per l’insonnia cronica da indagare durante la raccolta anamnestica sono: alimentazione, ritmi circadiani (assenza di esposizione alla luce mattutina), attività extralavorative e scarse relazioni sociali. Si associano anche disfunzioni cognitive, ovvero l’errata convinzione che il sonno possa determinare e condizionare tutta la propria vita. In realtà tutti possiamo essere insonni per periodi più o meno lunghi durante la nostra vita. Dopo l’anamnesi, vale la pena applicare i questionari a cui faremo cenno successivamente (ISI, BDI, HAMA, diario clinico, SCI e altri).

Secondo il DSM-V il disturbo deve essere presente 3 volte a settimana e per almeno 3 mesi. Le manifestazioni cliniche dell’insonnia includono fatica e malessere diurno generale, senza sonnolenza perché il sistema di arousal è iperattivo (tipico il riferito del paziente: “cerco di andare a letto ma non prendo sonno”). L’iperarousal è il meccanismo che sottende l’insonnia ed è correlato ad una iperattivazione della corteccia frontale. L’insonne non ha una sleep-inertia (difficoltà ad alzarsi dal letto), al contrario ha un risveglio precoce.

La diagnosi non necessita di esami strumentali (polisonnografia – PSG). Inoltre, la prevalenza del disturbo è elevata e coinvolge fino al 20% delle donne e il 10-15% dei maschi, rendendo inopportuno e troppo dispendioso l’esecuzione della PSG. Tuttavia, la PSG è indicata nei casi refrattari alla terapia, nel sospetto di una dispercezione delle ore di sonno (pazienti che riferiscono di dormire 2-3 ore a notte ma in realtà se ne registrano 8) e/o quando si sospettano altri disturbi del sonno associati (OSAS).

L’insonnia si può manifestare come:

  1. Insonnia iniziale: l’addormentamento avviene con difficoltà, dopo circa due ore dall’essere andati a letto. La prima causa è il disturbo d’ansia (nel 45% dei casi), sindrome delle gambe senza riposo (2-3% della popolazione generale), cattiva igiene del sonno (uso di poltrone, TV). Bisogna distinguerlo da un ritardo di fase (inizio più tardivo delle fasi del sonno) o dormitori brevi (che necessitano 4-5 ore a notte per stare bene). È necessario chiedere durante la fase anamnestica, come va il disturbo in vacanza, quando il soggetto è libero di dormire. Spesso l’anamnesi è quindi esaustiva e non è necessario il ricorso a PSG.
  2. Insonnia intermedia: risvegli notturni prolungati. Durante la fase non-REM del sonno c’è un tipo di tracciato costituito da due fasi (A e B) che si alternano. Questo prende il nome di CAP (cycling alternating pattern). Durante la fase A il sonno è più superficiale, mentre la fase B ha una funzione inibitoria. Il CAP si alterna in modo regolare a cicli non-CAP del sonno non-REM. La percentuale di CAP rispetto al sonno NREM, definita CAP rate, viene utilizzata come indicatore della qualità del sonno: maggiore è questo valore, peggiore è la qualità del sonno. Nell’insonnia intermedia si riscontra un CAP rate anche del 60%. In questo caso bisogna indagare nell’anamnesi fattori esterni, quali strade rumorose o figli che rientrano a casa ad orari diversi. I periodic limb movements (PLM) nelle prime due ore del sonno possono essere causa dei risvegli dell’insonnia intermedia e in questi casi si deve proporre la PSG.
  3. Insonnia terminale: come nella iniziale, la diagnosi è clinica. Il paziente si sveglia troppo presto e non riesce più a riaddormentarsi. Le cause possono essere: depressione del tono dell’umore, abuso di alcolici, cattiva igiene del sonno, anticipo di fase (fenotipo allodola).

Altre informazioni utili: l’associazione insonnia-depressione riguarda solo la depressione unipolare in quanto nel disturbo bipolare il paziente, al contrario, preferisce restare a letto per molto tempo durante le sue fasi di deflessione del tono dell’umore. Nei bambini, inoltre, l’insonnia è considerata risolta non quando il bambino riesce ad addormentarsi nella stanza dei genitori, ma quando ritorna ad essere capace di dormire separato da loro.

La terapia dell’insonnia si avvale innanzitutto di una psico-educazione del sonno, la cosiddetta igiene del sonno. La prima scelta è la terapia cognitivo-comportamentale che ha l’obiettivo di manipolare la concezione distorta del sonno e correggere eventuali comportamenti scorretti. In Italia, purtroppo, gli psicoterapeuti specializzati sono pochi. Si passa quindi alle Z-drugs (zolpidem, zaleplon, eszopiclone) e benzodiazepine per 4 settimane al massimo, anche in associazione alla terapia per l’ansia e per la depressione. Bisogna curare le 24 ore trattando le fasi acute con farmaci sedativi per poi sospenderli in quanto associati ad un cattivo utilizzo (soprattutto negli anziani e negli ansiosi). Gli SSRI sono indicati spesso per le comorbidità. In generale, i farmaci si utilizzano per mantenere la struttura del sonno, ma non si può pretendere di “insegnare” a dormire in pochi giorni. Uno dei farmaci più promettenti nel mantenere e rispettare il ciclo sonno-veglia, è il daridorexant, antagonista del recettore dell’orexina, da poco commercializzato anche in Italia e candidato a diventare la prima linea di trattamento dell’insonnia, insieme alle sopracitate molecole.

DISORDINI DEL RESPIRO CORRELATI AL SONNO
I disturbi respiratori del sonno consistono in alterazioni della normale respirazione che si verificano durante il sonno. Le apnee sono di 3 tipi:

  • periferiche, dove il flusso del respiro si blocca pur mantenendosi lo sforzo respiratorio. Sono le più gravi prognosticamente perché hanno una durata considerevole e sono disturbanti il sonno;
  • centrali, durante le quali lo sforzo respiratorio è diminuito o assente per problemi al sistema cardio-circolatorio e ai centri del respiro. Nelle apnee centrali i soggetti hanno insonnia perché se si rilassano vanno in apnea.
  • ipoventilazione, nei soggetti obesi o con patologie neuromuscolari.

Il disturbo più diffuso rientra nella prima categoria ed è l’OSA (Apnea Ostruttiva nel Sonno), causato dal restringimento o addirittura dalla chiusura delle vie aeree superiori durante il sonno. Si può fare diagnosi di OSAS (Sindrome delle apnee ostruttive del sonno) se sono rispettati i seguenti criteri:

  • A, la presenza fondamentale di uno dei seguenti sintomi: sonnolenza, fatica, sonno non ristoratore, gasping (risveglio con affanno respiratorio), cefalea e sensazione di bocca asciutta al risveglio, presenza di altre malattie quali disturbi dell’umore, ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale, diabete mellito
  • associata al criterio B, ovvero 5 o più episodi di apnea per ora di sonno durante la polisonnografia;
  • oppure solo criterio C, 15 eventi per ora di sonno.

Questo è un disturbo due volte più frequente nei maschi rispetto alle femmine fino alla menopausa. La presenza di OSA è molto diffusa nella popolazione generale arrivando circa all’80%. Se si aggiunge la clinica (OSAS) si raggiunge il 6,5% negli uomini sotto i 60 anni. Le forme più severe colpiscono il 3% degli adulti. La mortalità è molto elevata e raggiunge il 100% a 30 anni, con poca differenza tra le forme lievi e severe. Colpisce il 10% delle donne affette da depressione sotto i 30 anni circa. Durante la menopausa la distribuzione del tessuto adiposo diventa più androide, localizzandosi anche a livello delle vie aeree superiori. L’OSA è presente nel 20% degli uomini, l’OSAS invece nel 3-4%. Le donne hanno apnee meno severe nel NREM, ma più severe in REM, con più eventi respiratori da sforzo e meno sintomi classici. La gravità dell’OSA viene generalmente misurata dall’indice metrico notturno di Apnea-Hypopnea Index (AHI) che definisce il numero di pause respiratorie notturne (apnee) o pause parziali e/o incomplete (ipopnea) e/o di eventi ostruttivi misurati per ora di sonno. Un AHI di 30 è a forte rischio di OSAS anche senza alcuna manifestazione clinica. Nel monitoraggio cardio-respiratorio, si riscontra un flusso respiratorio ridotto, fattore sufficiente a fare diagnosi.

Quindi la PSG si può riservare ai soggetti con comorbidità o con il sospetto di altre patologie associate, quali insonnia, per poter registrare le ore effettive di sonno.

Dal punto di vista clinico, si distinguono 4 gruppi di appartenenza:

  • il primo è quello del sonno disturbato, cioè i pazienti manifestano insonnia, sonno non ristoratore, risvegli durante la notte;
  • il secondo sono i minimamente sintomatici;
  • il terzo ha la tipica clinica di russamento notturno e sonnolenza;
  • un quarto gruppo è un cluster con più o meno sonnolenza rispetto al terzo.

Il gruppo dei minimamente o paucisintomatici in realtà è quello con comorbidità quali fibrillazione atriale ricorrente, ipertensione polmonare ricorrente, ipertensione arteriosa non controllata, diabete mellito scompensato quindi ad alto rischio. Sono descritti in realtà vari cluster di soggetti affetti da OSAS secondo dati strumentali e comorbidità, ma ciò che è importante segnalare è che solo 3 gruppi hanno sonnolenza diurna (circa il 30% del totale). La clinica include principalmente russamento abituale, pause respiratorie di 30-40 secondi, risvegli con sensazioni di soffocamento e sonnolenza diurna. Altri segni sono un BMI maggiore di 29, la circonferenza del collo di 41 cm (F) e 44 cm (M). Quest’ultimo è il fattore più rilevante. È più frequente, tuttavia, l’insonnia. Ci può essere cefalea mattutina da OSA, della durata di circa 30 minuti, insorge al risveglio per poi risolversi. Eccessiva sonnolenza diurna con difficoltà a mantenere un adeguato stato di vigilanza.

L’OSAS è la causa più comune di ipertensione arteriosa farmacoresistente, oltre ad essere associata al rischio di demenza correlata all’ipossia; per questo motivo la misurazione della saturazione periferica in corso di PSG è fondamentale.

Tra le comorbidità associate si riscontrano le malattie cardiovascolari (che sono il doppio rispetto alla popolazione sana), psichiatriche, polmonari croniche e metaboliche. Sono aumentate non solo di prevalenza, ma anche di gravità. Sono in studio nuovi farmaci che aumentano il tono del muscolo miloioideo responsabile, in alcuni soggetti, del collasso muscolare e dell’ostruzione delle vie respiratorie. Per quanto riguarda il trattamento, a parità di severità clinica, la CPAP è quella che ha dimostrato una maggiore efficienza. La terapia può modificare totalmente la prognosi.

IPERSONNIA DI ORIGINE CENTRALE
Le ipersonnie di origine centrale sono numerose e includono narcolessia, ipersonnia idiopatica, ipersonnia ricorrente (sindrome di Kleine-Levin) e altre ipersonnie, tutte caratterizzate da sonnolenza diurna. Nell’ipersonnia post-traumatica il soggetto riprende a dormire normalmente dopo 3-4 settimane dall’esordio del disturbo, ma bisogna escludere che non vi siano stati traumi sull’ipotalamo in caso di incidenti stradali. Nella narcolessia il soggetto dorme per pochi minuti grazie ai quali ottiene una certa autonomia: questo fenomeno, detto “refreshing”, esiste solo nella narcolessia. La narcolessia può essere di tipo 1 se si associa a cataplessia, atonia muscolare determinata spesso da stimoli emotivi, forti emozioni, risate, o di tipo 2 senza cataplessia. La narcolessia può essere anche sintomatica/secondaria. Il Test di Latenza Multipla del Sonno (MSLT) è particolarmente utile per lo studio della narcolessia. Il test risulta positivo per narcolessia se si registra una latenza di addormentamento ridotta (< 5 minuti) e almeno 2 addormentamenti con insorgenza precoce del sonno REM (entro 15 minuti dall’inizio del sonno = sleep-onset REM periods – SOREMPs) nel corso delle 5 prove di addormentamento condotte durante il test.

DISORDINI DEL RITMO CIRCADIANO
I disordini del ritmo circadiano includono tutti i fenomeni di disallineamento tra il proprio orario biologico e il sonno desiderato, che appare disallineato con gli orari esterni socialmente imposti. Ritardo di fase, anticipo di fase, sindrome del jet-lag, sindrome da turnismo, sindrome ipernictemerale (la più rara), sono alcuni dei numerosi sottogruppi di disturbi che fanno parte di questa macrocategoria. In questo contesto e in pochi altri, l’actigrafo e il diario del sonno possono essere utili. Tutti richiedono almeno 3 mesi di persistenza del disturbo, tranne il jet-lag.

Una delle differenze principali tra questi disturbi del ritmo circadiano sonno-veglia e l’insonnia è che quest’ultima è attivante (sindrome dell’arousal: i soggetti non riescono e non hanno necessità di fare un riposo pomeridiano). Si parla di ritardo di fase se il soggetto va a letto troppo tardi rispetto alla sua sveglia mattutina. Compensano però il pomeriggio con dei nap. Secondo i criteri diagnostici vi è un ritardo di fase quando vi è uno scarto di almeno due ore tra il rapporto degli orari di addormentamento e di veglia desiderati. Se invece il soggetto è lasciato libero di seguire il proprio schema di sonno-veglia desiderato, esibisce un sonno normale per età e quantità. Il più difficile dei disturbi del ritmo sonno-veglia da trattare è quello delle 24 ore, i cosiddetti “free runner”, i quali posticipano continuamente, ogni notte, il proprio orario di addormentamento. Il ciclo è totalmente irregolare nei vari giorni, come accade negli ipovedenti. In questi soggetti manca lo stimolo luminoso e quindi l’inibizione della secrezione mattutina di melatonina, con conseguente assenza di produzione di melatonina serale. Disturbi del ritmo circadiano possono associarsi anche a lesioni ipotalamiche post-traumatiche.

Per i disturbi del ritmo circadiano, più complessi da diagnosticare, si utilizzano il MEQ per capire il cronotipo (serotino o mattutino), il diario clinico e l’actigrafia. Altra indagine utilizzata nei centri del sonno è il dosaggio della melatonina plasmatica, che inizia ad aumentare di solito alle 22, mentre in altri soggetti può avere un picco ritardato, ad esempio alle 3. La melatonina terapeutica si deve dare circa 3-4 ore prima del DLMO; quindi, si inizia anche a basso dosaggio e si aumenta in associazione a regole comportamentali di buona igiene del sonno. Una terapia aggiuntiva può essere la bright light therapy ovvero una luce blu da utilizzare per almeno 40 minuti al mattino dopo il risveglio.

PARASONNIE
Le parasonnie sono classificate in:

  • parasonnie del sonno non-REM (dell’arousal);
  • parasonnie del sonno REM (dell’ultima parte del sonno);
  • altre parasonnie.

Le parasonnie del sonno non-REM insorgono dal sonno ad onde lente (N3) e si possono verificare come espressione di una superficializzazione del sonno, manifestandosi come un risveglio completo o come arousal parziale. Si manifestano prevalentemente nella prima parte della notte. Le principali parasonnie del sonno non-REM sono: il sonnambulismo, il sonniloquio, il pavor notturno e i risvegli confusionali. Nella maggior parte dei casi sono benigne, frequenti nel bambino e tendono a diminuire durante l’adolescenza e nella fase adulta.

  • Il pavor notturno ha sintomi chiari e drammatici. Possono verificarsi numerosi episodi durante una notte, durante i quali il bambino si agita, è confuso, non riconosce i familiari, grida, tenta di allontanare ciò che in quel momento lo impaurisce, piange, ha un’attivazione intensa vegetativa (tachicardia, sudorazione, pupille dilatate). Nella diagnosi differenziale tra pavor notturno, sogni a contenuto terrifico ed epilessia con crisi ipermotorie in sonno (SHE) è importante il timing dell’evento: N2 in caso di SHE, N3 (quindi un sonno più profondo) per il pavor notturno, sonno REM per il sogno terrifico (il classico incubo). In quest’ultimo caso il soggetto non si muove perché è in REM, non è confuso e il sogno si verifica nell’ultimo terzo della notte.
  • Sonnambulismo: in questo caso il bambino pur continuando a dormire si alza dal letto e può svolgere azioni automatiche anche complesse. Attivazione vegetativa assente o di lieve entità. Non rispondono ai tentativi di interazione e l’insistenza potrebbe comportare l’agitazione del bambino. Nell’adulto è meno frequente e si può associare ad altri disturbi come le apnee notturne, la sindrome delle gambe senza riposo o l’utilizzo di farmaci quali ipnotici, antidepressivi (amitriptilina, paroxetina, mirtazapina, bupropione), antipsicotici (Olanzapina, quetiapina), antiipertensivi (Propranololo, metoprololo). Per quanto riguarda il sonnambulismo, vi è anche qui un’importante diagnosi differenziale da fare con l’epilessia con crisi ipermotorie in sonno (SHE). Il sonnambulo è in una fase più profonda di sonno, può avere consapevolezza parziale anche se non ha contezza totale dell’ambiente circostante, che viene esplorato anche visivamente. La SHE, invece, insorge in fase meno profonda di sonno (N2).
  • Sonniloquio: è molto frequente. Il bambino durante il sonno parla. Attivazione vegetativa anche in questo caso è assente. Tendenzialmente non risponde all’interazione o dà risposte inappropriate.
  • Risvegli confusionali: al risveglio il bambino resta a letto a occhi aperti, ma è confuso e disorientato, risponde in modo inappropriato (deambulazione e attivazione vegetativa assenti).

Le parasonnie del sonno REM insorgono prevalentemente nella seconda parte della notte e nell’età adulta sono più frequenti rispetto a quelle non-REM. Comprendono diversi disturbi: incubi notturni, il disordine del comportamento in sonno REM (RBD) e le paralisi isolate nel sonno:

  • Incubi notturni: gli incubi occasionali sono molto frequenti nell’infanzia. Nell’adulto si associano più comunemente ai disturbi di ansia. Al risveglio il paziente è agitato, ricorda il sogno e interagisce in modo adeguato con l’ambiente circostante.
  • Disordine comportamentale in sonno REM (RBD): si presenta più frequentemente nell’ adulto (sopra i 50 anni, uomo nel 80-90% dei casi). Questo disturbo è caratterizzato dalla perdita di atonia tipica del sonno REM. Si manifesta con ripetuti episodi in corso di sonno REM caratterizzati da vocalizzazioni, come grida e verbalizzazioni aggressive, associate a complessi comportamenti motori, come urlare, tirare pugni e calci. I sogni vengono ricordati dal paziente e sono coerenti con i comportamenti che si sono presentati. Bisogna prestare attenzione all’RBD cronico perché oltre a essere idiopatico potrebbe essere un campanello d’allarme per patologie neurodegenerative, soprattutto coinvolgenti le strutture sottocorticali come l’atrofia multisistemica (MSA), la Malattia di Parkinson e la Demenza a Corpi di Lewy. La presenza di RBD nel soggetto affetto da PD ne peggiora la prognosi.
  • Paralisi isolate del sonno: si presentano nella fase di transizione sonno-veglia. Il soggetto apre gli occhi, è lucido, si sente paralizzato e spesso si associa una sensazione di difficoltà respiratoria. Si risolve solitamente in pochi minuti e non ha conseguenze negative. Si può associare ad uno stato di agitazione soprattutto nel corso del primo episodio. Data la sua frequenza nella popolazione è da considerare come un “disturbo” nel momento in cui si presenta frequentemente e provoca disagio alla persona (ansia al momento di andare a letto o paura di dormire).

Nelle parasonnie il gold standard diagnostico è la PSG. I questionari hanno solo una funzione di screening e di valutazione della gravità.

DISTURBI DEL MOVIMENTO ASSOCIATI AL SONNO
I principali disturbi di questa categoria sono la sindrome delle gambe senza riposo (RLS, Restless Legs Syndrome) e il disturbo da movimenti periodici degli arti (PLMD, Periodic Limb Movement Disorders). Vi sono inoltre: crampi e bruxismo correlati al sonno, mioclono ipnico benigno dell’infanzia, mioclono propriospinale dell’addormentamento, disordini del movimento correlati a condizioni mediche, sostanze e non specificate. C’è anche una nuova entità che sta per essere introdotta: la Restless sleep disorder (RSD).

I criteri della sindrome delle gambe senza riposo (RLS) sono i seguenti:

  • sensazione di fastidio, disestesie, formicolii, pulsazione, dolore, prurito o altro con urgenza di muovere gli arti inferiori che tipicamente inizia a riposo quando si è in posizione seduta o a letto con gli arti estesi;
  • sollievo del discomfort con il movimento;
  • peggioramento dei sintomi la notte con periodo libero da sintomi nella mattina;
  • i sintomi non possono essere spiegati esclusivamente da un’altra condizione medica o comportamentale.

Spesso gli esami strumentali non sono indispensabili per fare diagnosi. L’eziologia è correlata ad una disfunzione dopaminergica e alla carenza di ferro. In realtà il fattore patogenetico sembra essere la ferritina, che determina una riduzione del complesso Ferro-dopamina nella sostanza nigra, con conseguente maggiore rilascio di glutammato ad effetto eccitatorio, ingresso di calcio nelle cellule, responsabile dello stato di iperarousal senza alterazione della vigilanza. L’RLS è associata infatti ad una riduzione dell’attività dell’enzima tirosinchinasi e una riduzione del sonno ad onde lente ristoratore. Un fattore di rischio può essere il distiroidismo. L’aspetto ormonale può portare ad un peggioramento della clinica. Per esempio, nel post-partum si ha il peggioramento dell’IRLS-RS (una delle scale di valutazione più utilizzate). La frammentazione del sonno, l’aumentata latenza di sonno e veglia notturna associata all’RLS non migliora con i farmaci per l’insonnia. È associata a sindrome da iperarousal, un tipo di insonnia primaria nella quale si riscontra uno stato ipoadenosinergico; il soggetto riesce ad arrivare in N2 al massimo. La RLS è associata inoltre a deterioramento cognitivo, maggiore rischio di ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari (come OSAS), depressione/ansia con tratti di tipo ossessivo-compulsivo, fibrillazione atriale e leucoarariosi. Bisogna saper riconoscere una RLS secondaria all’uso di farmaci antidepressivi. La peggiore di tutte è la mirtazapina, mentre quelle più sicure sono il trazodone, il bupropione e l’aripiprazolo. Un primo approccio terapeutico si basa sulla riduzione di comportamenti associati a RLS ovvero consumo di alcol, stress e attività fisica vigorosa la sera. Inoltre, si devono evitare i farmaci come antistaminici, antinausea e i già citati antidepressivi. Approcci non farmacologici includono una buona igiene del sonno, attività di concentrazione nelle ore serali e stimolazioni termo-tattili (massaggi, bagni caldi la sera). La terapia farmacologica si basa invece su: supplementazioni di Ferro e vitamina C per 12 settimane nei soggetti con saturazione di Fe > 45% e sideremia < 75 mcg/dl; agenti dopaminergici quali il pramipexolo al dosaggio di 0,125 – 0,75 mg/die, rotigotina da 1 a 3 mg/die, gli alfa2delta ligandi quali gabapentin e pregabalin e altri off-label come perampanel, daridorexant (inibitore dell’orexina) usato per l’insonnia, dipiridamolo. Per i dopaminoagonisti, farmaci di prima linea nella RLS, bisogna considerare eventuali effetti collaterali quali il peggioramento dei sintomi, il disturbo del controllo degli impulsi, che è il più precoce e frequente (in questo caso si può sostituire con pregabalin/gabapentin e correggere l’iposideremia), e la sindrome da withdrawal.

Il disturbo da movimenti periodici degli arti (PLMD) può essere di tipo 1 o 2: il tipo 1 ha una frequenza di picco tra mezzanotte e le 3 del mattino, seguito da una diminuzione nelle ore tarde del mattino. Si tratta di un disturbo dopaminergico che si associa alla RLS, e si manifesta come un’attività motoria ritmica alla frequenza di uno ogni 40-60 secondi, che risponde ai farmaci; tipo 2 quando è nota come PLM-D e si associa a RBD e narcolessia. Svegliarsi durante la notte determina picchi ipertensivi e aumento della frequenza cardiaca (soprattutto con PLM-Index di 60 movimenti/notte), pertanto non è solo un problema di fluttuazione del sonno.

ALTRI DISTURBI DEL SONNO
La settima e ultima categoria include i disturbi del sonno che non raggiungono i criteri diagnostici per essere classificati altrove nell’ICSD-3, o quando essi si sovrappongono con più categorie diagnostiche.

Oreste Marsico
Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro
“Centro Regionale Epilessie”, Reggio Calabria
o.marsico@unicz.it

Giorgio Spano
Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro
dr.giorgiospano@gmail.com

BIBLIOGRAFIA

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