Visto il cambio di rotta riguardo l’anticorpo monoclonale aducanumab, occorso per ben due volte quest’anno, ci pare doveroso fare un riassunto di tutta questa vicenda anche e soprattutto per i non addetti ai lavori.

Cominciamo dal principio: aducanumab è un anticorpo monoclonale completamente umanizzato in grado di superare la barriera ematoencefalica e di legare in maniera selettiva gli oligomeri solubili e insolubili di beta-amiloide.

Lo studio di fase 1b (PRIME) ha dimostrato la capacità del farmaco di ridurre in maniera significativa la presenza di beta amiloide a livello cerebrale misurata tramite il SUVR della PET amiloide (parliamo del 20% circa dopo un anno di trattamento per coloro che hanno assunto la dose maggiore – 10mg/kg). [1]

Sulla base di queste premesse decisamente interessanti sono stati aperti due trial gemelli di fase III (ENGAGE ed EMERGE) che hanno reclutato pazienti con MCI dovuto ad AD o AD lieve. 

Tuttavia, il 21 marzo 2019, dopo l’analisi ad interim, entrambi gli studi sono stati interrotti perché dai dati raccolti sembrava improbabile che lo studio raggiungesse l’endpoint primario (rallentamento del peggioramento di una scala clinica – CDR, rispetto al placebo). [2]

Tale risultato ha prodotto una serie di riflessioni a riguardo dell’aducanumab e più in generale dei farmaci che agiscono sulla beta-amiloide; queste si possono riassumere in quattro grandi filoni: [3] 

  • l’ipotesi amiloidea non sarebbe vera o comunque non rappresenterebbe il primum movens della patologia
  • i pazienti del trial sarebbero comunque in uno stadio troppo avanzato per ricevere un beneficio dalla terapia
  • l’aducanumab non sarebbe in grado di neutralizzare sufficientemente gli oligomeri solubili di amiloide che rappresentano l’isoforma ritenuta più tossica
  • sarebbe comunque necessario una terapia di combinazione (anticorpi anti-tau?)

In questo clima di generale sconforto è tuttavia apparsa a sorpresa un mese fa una comunicazione basata sull’analisi di nuovi dati disponibili dagli studi ENGAGE ed EMERGE: quest’ultimo avrebbe raggiunto l’endpoint primario mentre un sottogruppo di pazienti del primo studio, che ha assunto le dosi più elevati del farmaco, avrebbe avuto un beneficio clinico. [4] Questi dati hanno spinto le due case farmaceutiche coinvolte nello sviluppo dell’anticorpo monoclonale (Biogen ed Eisai) a chiedere l’autorizzazione all’immissione in commercio all’FDA; inoltre Il farmaco potrebbe essere fornito a coloro che sono stati arruolati nello studio di fase III e nello studio PRIME. [4]

È difficile dare un giudizio certo su tutta la questione. Secondo la mia personale opinione sarebbe stato più indicato portare a termine gli studi di fase III e sicuramente andrà percorsa l’idea di sviluppare una terapia di combinazione, come si fa ad esempio con i tumori. Rimangono inoltre aperte due domande pressanti: qual è il paziente target? Per quanto la terapia andrebbe continuata? Le risposte andrebbero cercate prima di immettere in commercio un farmaco dai costi importanti (soprattutto per quanto riguarda il nostro SSN).

Dott. Andrea Plutino – Università Politecnica delle Marche

Bibliografia

1 Sevigny J. et al. The antibody aducanumab reduces Aβ plaques in Alzheimer’s disease. Nature. 2016 Sep 1;537(7618):50-6.

2 Biogen and Eisai to Discontinue Phase 3 ENGAGE and EMERGE Trials of aducanumab in Alzheimer’s Disease. Biogen. 21 mar 2019 http://investors.biogen.com/news-releases/news-release-details/biogen-and-eisai-discontinue-phase-3-engage-and-emerge-trials

3 Selkoe DJ Alzheimer disease and aducanumab: adjusting our approach. Nat Rev Neurol. 2019 l;15(7):365-366.

4 Biogen Plans Regulatory Filing for Aducanumab in Alzheimer’s Disease Based on New Analysis of Larger Dataset from Phase 3 Studies Biogen 22 oct 2019 http://investors.biogen.com/news-releases/news-release-details/biogen-plans-regulatory-filing-aducanumab-alzheimers-disease


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