Da Gibbons CH, Schmidt P, Biaggioni I, et al. The recommendations of a consensus panel for the screening, diagnosis, and treatment of neurogenic orthostatic hypotension and associated supine hypertension. J Neurol. 2017;264(8):1567–1582. doi:10.1007/s00415-016-8375-x

La definizione di ipotensione ortostatica (OH), formulata dalla American Autonomic Society e dalla American Academy of Neurology, è: “…una riduzione sostenuta della pressione arteriosa sistolica di almeno 20 mmHg o di quella diastolica di almeno 10 mmHg, o entrambe, entro tre minuti dall’assunzione della posizione ortostatica […].”  L’ipotensione ortostatica neurogena (nOH) si definisce come quella condizione che soddisfa la definizione di OH e che vede come meccanismo alla base del calo pressorio un’incapacità del sistema nervoso autonomico (SNA) a fornire, nel passaggio in ortostatismo, un’adeguata risposta posturale (vasocostrizione ed incremento della frequenza cardiaca per lo più). Questo deficit è, in larga parte, attribuito ad un insufficiente rilascio di norepinefrina dai terminali nervosi del SNA.

I pazienti nelle seguenti 5 categorie meritano di essere screenati per ipotensione ortostatica:

  • Pazienti con il sospetto di malattie neurodegenerative associate a ipotensione ortostatica, Malattia di Parkinson, Atrofia Multisistemica, o demenza a corpi di Lewy;
  • Pazienti che riferiscono cadute inspiegate o episodi sincopali;
  • Pazienti con neuropatie periferiche note per essere associate con disfunzioni autonomiche (es. diabete, amiloidosi, HIV);
  • Pazienti anziani (over 70) o in terapia multifarmacologica;
  • Pazienti con vertigini posturali ortostatiche o sintomi non specifici che occorrono solo in posizione ortostatica.

I sintomi e i segni di presentazione dell’ipotensione ortostatica includono sensazione di instabilità o vertigini, sensazione di black-out e cadute con o senza perdita di coscienza. Meno comuni sono disfunzione cognitiva ortostatica (le funzioni esecutive sono coinvolte più spesso della altre), sensazione di mente offuscata, astenia generalizzata, dolore al collo o discomfort in regione sub-occipitale e paracervicale, o ancora platipnea.

Per queste cinque categorie di pazienti, i medici dovrebbero cercare i sintomi principali dell’OH, la loro frequenza e gravità e l’effetto dei sintomi sulla loro attività quotidiane. Di seguito una tabella che lista le domande cosa chiedere al paziente a rischio:

Da Gibbons et al. J Neurol 2017

Identificati i sintomi dell’OH/nOH nei pazienti a rischio sarà necessario passare ad una più approfondita fase di valutazione. Il test per l’ipotensione ortostatica consiste nel valutare la pressione arteriosa dopo almeno 5 minuti di riposo in posizione supina e successivamente in ortostatismo. Le linee guida più recenti definiscono diagnostico un calo della PA sistolica di almeno 20 mmHg e della PA diastolica di almeno 10 mmHg. In pazienti con ipertensione supina (PA sistolica maggiore di 150 o diastolica maggiore di 90) andrebbero considerati diagnostici cali pressori sistolici e/o diastolici di 30 e 15 mmHg rispettivamente poiché l’ampiezza della caduta pressoria è direttamente proporzionale alla pressione di partenza. La modalità raccomandata di esecuzione del test prevede la misurazione della pressione arteriosa un attimo prima di passare in posizione ortostatica e dopo 1 e 3 minuti il mantenimento di quest’ultima posizione.

Esiste, comunque, un sottogruppo di pazienti che presenta i sintomi non prima che siano trascorsi 3 minuti in ortostatismo, condizione definita OH ritardata. Questa potrebbe essere una manifestazione precoce della disfunzione autonomica e una buona motivazione per prolungare la valutazione almeno fino a 5 minuti.

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Misurare la variazione della frequenza cardiaca nel passaggio in ortostatismo può aiutare a differenziare tra l’OH e l’nOH. L’incremento della frequenza cardiaca di più di 15 bpm entro tre minuti dall’assunzione della posizione ortostatica suggerisce la diagnosi di OH (l’incremento della frequenza è espressione dell’integrità del SNA nel compensare il calo pressorio). Va sottolineato che in assenza di un calo pressorio il criterio di variazione della frequenza per l’nOH non si applica. In aggiunta è importante ricordare che prima di prendere in considerazione la variazione della frequenza cardiaca è necessario valutare concomitanti fattori confondenti (es terapie farmacologiche che influenzano il ritmo, disturbi del ritmo).

Una volta realizzata la diagnosi di nOH, l’obiettivo del trattamento non dovrebbe essere quello di normalizzare la PA ma piuttosto quello di migliorare la sintomatologia (e soprattutto ridurre il rischio di cadute) e le abilità fisiche del paziente e ripristinare l’autonomia nelle attività della vita quotidiana. Il trattamento si sviluppa in 4 step. Per ciascuno step la valutazione del paziente deve essere fatta durante un periodo di almeno 2 settimane.

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Treating nOH—step 1: Identificare potenziali farmaci responsabili e modificare la terapia.

Treating nOH—step 2: Misure non farmacologiche. 

  • La causa più frequente e facilmente trattabile di OH è l’ipovolemia. Come discusso, questa si distingue dall’nOH valutando le variazioni della frequenza cardiaca in assenza di fattori confondenti. L’ipovolemia secondaria ad insufficiente apporto di liquidi è condizione frequente nell’anziano e potrebbe peggiorare una coesistente nOH. Nei pazienti con nOH è, quindi, utile valutare e, se necessario, correggere questo aspetto.
  • Altra misura non farmacologica è la determinazione ed eventuale correzione dell’apporto di sale nella dieta. Il sodio urinario delle 24h è una buona misura dell’apporto di sale. Sarà necessario un bilancio tra rischi a lungo termine derivanti dall’elevato apporto di sale e rischi a breve termine dell’nOH derivanti soprattutto dalle cadute. Nessuno studio conclusivo, volto a valutare i rischi a lungo termine di una dieta ad alto apporto di Sali in pazienti con nOH, è presente in letteratura.
  • L’aumento della temperatura corporea causa vasodilatazione e i pazienti con nOH dovrebbero evitare situazione determinanti questa condizione, come attività fisica ad alta intensità e ambienti molto caldi e umidi.
  • Elevare il busto a letto durante il sonno (“inclinare il letto o mettere un rialzo sotto il materasso, i cuscini impilati non sono adeguati”), così che la testa si trovi 15–23 cm più in alto dei piedi, riduce l’ipertensione in posizione supina che spesso concomita nei pazienti con nOH. Questa, con il suo effetto diuretico su base pressoria, comporta nicturia e deplezione di liquidi durante la notte peggiorando i sintomi dell’nOH il mattino seguente. Inoltre, la posizione inclinata del busto favorisce l’attivazione del sistema renina-angiotensina e fornisce un ulteriore meccanismo di compenso ai sintomi dell’nOH mattutini.
  • Altro intervento potenzialmente utile è l’utilizzo di calze compressive (30-40mmHg) che favorendo il ritorno venoso impattano significativamente sul mantenimento della PA. La pratica clinica ha dimostrato scarsa compliance per questa misura.
  • I pazienti affetti da nOH sono particolarmente vulnerabili nelle due ore seguenti un pasto, soprattutto se abbondante di carboidrati. È importante identificare i pazienti con sintomi di nOH post-prandiali e correggere le abitudini alimentari. Al paziente dovrebbe essere chiesto di mangiare pasti più piccoli e più di frequente. Ci sono alcune evidenze a supporto di un beneficio di una dieta ipoglicemica sull’nOH. Anche la caffeina e l’acarbosio sono utili nell’alleviare i sintomi post-prandiali.
  • L’anemia e il deficit di alcune vitamine (es. B12) possono incidere sui sintomi dell’nOH e quindi, se presenti, necessitano di essere corretti.

Treating nOH—step 3: terapia farmacologica.

Se l’attuaizone di misure non farmacologiche non soddisfa il goal terapeutico sarà necessario iniziare una terapia farmacologica. Alcuni clinici ritengono che nei casi in cui le cadute o gli episodi sincopali siano molto frequenti sarebbe da prendere in considerazione la terapia farmacologica sin dall’inizio. A complicare la gestione terapeutica dei pazienti con nOH è che questi, come detto, molto spesso soffrono di concomitante ipertensione arteriosa in posizione supina. 

I farmaci potenzialmente utilizzabili sono: Midodrina, Droxidopa, Fludrocortisone, Piridostigmina. I più utilizzati sono la Midodrina ed il Fludrocortisone. 

Non esistono studi comparativi tra questi farmaci per cui la scelta andrebbe personalizzata, in particolare sulla base delle comorbidità. Si inizia sempre con un solo farmaco, titolandolo dalla dose di partenza. In caso di insuccesso si dovrebbe passare ad un successivo farmaco.

Midodrina: è un alfa-1 agonista che incrementa le resistenze vascolari. La dose è variabile da 2.5 – 15 mg /die ed è somministrabile da una a tre volte al giorno. L’ultima dose del giorno deve essere lontana dalle ore di sonno (non oltre 5 ore prima l’ora di andare a letto) per non peggiorare l’ipertensione supina notturna. La dose si titola fino al raggiungimento dell’obiettivo (miglioramento/risoluzione dei sintomi). La midodrina comporta, comunque, alto rischio di ipertensione supina. È importante sottolinare che questa non deve essere motivo di sospensione o riduzione della dose ma piuttosto il paziente deve essere educato ad evitare la posizione clinostatica (anche durante il sonno).

Droxidopa: pro-farmaco della noraepfinefrina. La dosa varia da 100 a 600 mg. Si suggerisce la doppia somministrazione giornaliera alle 8 e alle 16.

Fludrocortisone: è utilizzato da anni in off-label. Nonostante siano pochi i dati a supporto dell’utilizzo del Fludrocortisone, questo è riportato nelle linee guida “based on expert opinion”. (Lahrmann H, Cortelli P, Hilz M, Mathias C, Struhal W, Tassinari M (2011) Orthostatic hypotension. In: Barnes MP, Brainin M, Gilhus NE (eds) European handbook of neurological management Vol. 1, 2nd edn. Wiley-Blackwell, Oxford, pp 469–475). Dose: 0,1/0,2 mg/die con pochi benefici incrementando la dose a 0,3mg/die.

Piridostigmina: inibitore delle colinesterasi. Incrementa il tono nervoso simpatico potenziando la trasmissione sinaptica colinergica a livello della sinapsi pregangliare del SNA. In piccoli studi clinici ha dimostrato modesto beneficio. Si somministra alla dose di 30-60 mg da una a tre volte al giorno.

Treating nOH—step 4: combination pharmacotherapy

Pochi dati sono disponibili riguardo efficacia e sicurezza della politerapia paragonata alla monoterapia. Nonostante ciò il consesus suggerisce in caso di inefficacia della monoterapia la possibilità di aggiungere un secondo farmaco (titolandolo dalla sua dose di partenza).

Gianmarco Abbadessa, Università della Campania Luigi Vanvitelli

gianmarcoabbadessa@gmail.com

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