Era solo il 2007 quando le prime pazienti con Encefalite Autoimmune da anticorpi anti-NMDAR venivano descritte: un caso storico -un nuovo Risvegli- quello di Susannah, 24 anni, inizialmente presa per pazza (comprensibilmente, visto che era allucinata, aggressiva e delirante) e a cui il dottor Souhel Najjar (un nuovo Oliver Sacks?) diede una speranza, oltre che una diagnosi. Oggi quella ragazza sta benissimo, ha 32 anni, e ha poi rielaborato la propria esperienza in un libro dal titolo “Brain on Fire” (le parole che usò il dott. Najjar per descrivere la sua condizione ai genitori), da cui è stato recentemente prodotto un omonimo film.

Da allora passi da gigante sono stati fatti nell’individuazione e nel trattamento delle patologie da anticorpi contro la superficie neuronale. La lista degli antigeni coinvolti si allunga di anno in anno, e numerosi studi hanno dimostrato un’altissima prevalenza dell’eziologia autoimmune nei pazienti epilettici (fino al 20% dei verosimilmente lesionali!). Eppure la consapevolezza di questa entità è ancora scarsa: 9 i casi a Bari negli ultimi 3 anni, e un andamento nazionale pressoché sovrapponibile.

Ne è una prova il lavoro presentato all’ultimo congresso della Lega Italiana Contro l’Epilessia, dal titolo “Fenotipi epilettici a possibile genesi autoimmune: uno studio retrospettivo multicentrico del gruppo di studio LICE sulle epilessie disimmuni“: 12 i Centri coinvolti, 113 in tutto i pazienti adulti.

Dei nostri casi, l’unico con anti-NMDAR risale al 2014: una ragazza di 19 anni, un caso “chiaramente psichiatrico”: insonnia, ansia, visione di fili che escono dal petto e poi…crisi epilettica. Stato di male. Coma. Dalla Psichiatria alla Rianimazione alle volta basta poco. Ma è grazie a quelle crisi che a una neurologa è venuto in mente di cercare gli anticorpi anti-NMDAR, e di instaurare una terapia immunologica. Ci sono voluti cortisone, immunoglobuline e plasmaferesi, ma anche in questo caso abbiamo avuto un lieto fine: Rossella oggi ha 22 anni, studia Biotecnologie all’università e ancora non c’è verso di toglierle la terapia (con carbamazepina e azatioprina), tanto è rimasta scottata da quell’esperienza. D’altronde non possiamo nasconderle che la nostra esperienza è limitatissima -e per “nostra” non intendo solo barese, ma medica in genere- e da quel poco che sappiamo l’encefalite da anti-NMDAR può recidivare, anche a distanza di molti anni.

Un’ovvia riflessione su questi casi la prendo direttamente dalle parole di Susannah: sono stata molto fortunata ad aver avuto una crisi epilettica, oltre ai tanti altri sintomi, ad aver trovato un medico capace di pensare fuori dagli schemi, ad esser nata in un periodo storico in cui esistono cure per i disturbi autoimmuni. Pensate a quanti pazienti chiusi in un manicomio avrebbero potuto riprendere la loro vita normale con qualche fiala di cortisone!

E allora credo che il nostro compito dovrebbe essere proprio quello di eliminare la fortuna: una diagnosi corretta non dev’essere un caso fortunato, non deve capitare, ci dobbiamo pensare. Oggi abbiamo i mezzi per cambiare radicalmente la vita di questi pazienti, usiamoli. Una seconda riflessione è quella che mi ha portata a dare a questo articolo il titolo che ha: la crisi epilettica è solo un epifenomeno di un processo patologico che stava accadendo nel cervello di queste due ragazze; e se non si fosse manifestata? Può un quadro prettamente psichiatrico essere riconducibile a una lesione organica (seppur ben nascosta)? Certo, sappiamo tutti che se troviamo un tumore a schiacciare i lobi frontali di un paziente, come minimo questo avrà un corredo di sintomi psichiatrici, ma quelle ragazze alla risonanza non avevano assolutamente nulla. Altri pazienti con encefaliti autoimmuni presentano delle lesioni che compaiono tardivamente e che possono regredire dopo nemmeno un mese, dunque è facile che, in assenza di altri segni neurologici, vengano etichettati come “funzionali“.

Ecco, quello che queste pazienti ci mostrano più di ogni altro, è il labile confine tra “organico” e “funzionale”: non trovare una lesione non vuol dire che non ci sia, o che non ci sia stata, o che non ci sarà. Assunto ciò, vi chiedo: non è che questa visione moderna della sfera psichica come nettamente distinta da quella neurologica potrebbe essere ormai obsoleta? Quello che releghiamo alla competenza psichiatrica non è in fondo un sintomo neurologico di cui non abbiamo ancora trovato la causa? Potrò sembrare ingenua, eppure sono molti i neurologi che hanno creduto in questa utopia.

Vi basti leggere i bellissimi quanto recenti articoli come “Psychosis: an Autoimmune Disease?” o “Psychoneuroimmunology of mental disorders” o ancora “Immunological aspects of the treatment of depression and schizophrenia“. Come potrete leggere, per ora quel che è emerso più chiaramente è che c’è un legame tra infiammazione e patologie psichiatriche (soprattutto con la schizofrenia), sebbene una stretta correlazione cogli anticorpi noti non sia stata ancora dimostrata. Insomma, è chiaro che qualcosa si sta muovendo, e seppur siamo ancora lontani dalla meta, queste pazienti sono la prova di quanto valga la pena continuare a cercare.

 

Maria Tappatà, Bari

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