La vicenda dell’approvazione del farmaco aducanumab (nome commerciale Aduhelm della Biogen/Ensai) per il trattamento dei pazienti con malattia di Alzheimer è estremamente complessa ed alquanto controversa. A differenza di quanto emerge dai titoli sui principali media, sono molti i punti interrogativi relativi all’approvazione di tale farmaco da parte della Food and Drug Administration (FDA), l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici. 

In questo breve articolo presenteremo i punti in ombra e i punti a favore relativi all’approvazione di aducanumab che stanno accendendo il dibattito scientifico a livello mondiale e che meritano di essere discussi per poter dare un’idea il più chiara e scientifica possibile riguardo alla situazione attuale. Riteniamo infatti di fondamentale importanza che tutti possano comprendere a fondo cosa c’è dietro a questa potenziale rivoluzione per il mondo della neurologia, tenendo in considerazione i risvolti che tale scoperta potrebbe avere per le persone malate di Alzheimer, i loro familiari e i caregiver ma anche per la società e gli imponenti risvolti economici e di organizzazione assistenziale sanitaria.

I punti in ombra

  • L’efficacia

Il dato più solido a nostra disposizione è dato dagli studi registrativi EMERGE ed ENGAGE, ovvero gli studi condotti con il fine di valutare la sicurezza e l’efficacia del farmaco al fine di ottenerne l’approvazione da parte degli enti regolatori: pur avendo dimostrato in entrambi gli studi che il farmaco è estremamente efficace nel rimuovere i depositi di beta-amiloide dal parenchima cerebrale, ovvero gli aggregati di proteine che si accumulano nel cervello delle persone con malattia di Alzheimer, entrambi gli studi sono stati sospesi nel 2019 nella valutazione ad interim per futilità (cioè nessuna delle sperimentazioni mostrava una differenza nell’evoluzione clinica della malattia tra il gruppo sperimentale che aveva ricevuto il farmaco e il gruppo che invece aveva ricevuto un placebo). In un secondo momento, è stata effettuata un’estensione dello studio con i pazienti precedentemente arruolati ma “in assenza di cieco”, cioè con un disegno di studio metodologicamente meno robusto. In questa estensione di studio, scientificamente meno valido, si è evidenziato un beneficio clinico molto piccolo (ed apparentemente poco rilevante sul grado di disabilità) in un sottogruppo di pazienti trattati con il farmaco, ossia quelli trattati con il massimo dosaggio (cfr. A resurrection of aducanumab for Alzheimer’s disease -Schneider- e ENGAGE and EMERGE: Truth and consequences? -Kuller e Lopez-). Da tali dati si deduce che aducanumab potrebbe avere un’efficacia clinica molto piccola nel ridurre la progressione del declino cognitivo e non su tutti i pazienti. 

  • La sicurezza

Il farmaco non è privo di rischi, anzi sono stati evidenziati i cosiddetti Amyloid-Related Imaging Abnormalities(ARIA), lesioni a livello del parenchima cerebrale di natura infiammatoria/emorragica simile a quanto accade ad una particolare forma di amiloidosi cerebrale e che possono dare una sintomatologia costituita da cefalea, disturbi neuropsichiatrici e confusione (cfr. Anti-Aβ autoantibodies in amyloid related imaging abnormalities (ARIA): candidate biomarker for immunotherapy in Alzheimer’s disease and cerebral amyloid angiopathy -Di Francesco, Longoni, Piazza-)

  • Gli esami 

L’utilizzo di tale farmaco è limitato esclusivamente a pazienti ben selezionati, che hanno una dimostrazione in vivo della presenza degli aggregati di amiloide a livello cerebrale. Pertanto, prima di poter somministrare tale farmaco ad un paziente sarà necessario sottoporsi ad una indagine radiologica ‘PET’ con tracciante per amiloide (con numerosi falsi positivi nei soggetti più anziani e con un costo > 1000€ a prestazione) o di esame del liquor (metodica invasiva e con rare complicanze che prevede un prelievo del liquido che circonda il nostro sistema nervoso centrale tramite una puntura tra gli spazi della colonna vertebrale) (cfr. Evidence-based Interpretation of Amyloid-β PET Results: A Clinician’s Tool -Bergeron, Ossenkoppele, Jr Laforce-). -). Inoltre per monitorare l`eventuale formazione degli ARIA e` consigliabile effettuare una RM cerebrale a stretto giro e successivamente a cadenze stabilite 

  • I costi

A fronte di queste evidenze, si stima un costo del farmaco annualmente compreso tra i 30.000 ed i 50.000 dollari, per una patologia con una sopravvivenza che varia tra gli 8 ed i 20 anni ed una prevalenza in Italia di circa 600.000 malati. Con una stima cautelativa che contempla solo un 5% dei malati eleggibili per la somministrazione del farmaco e con un costo contrattato di 20.000€ annui si raggiungerebbe (solo di spese per il farmaco, escluse i costi di gestione e di diagnosi) la cifra non indifferente di 600.000.000€ all’anno.

  • La controversia

Infine ci pare opportuno sottolineare come il consiglio tecnico dell’FDA (l’agenzia regolatoria del farmaco negli Stati Uniti) abbia scelto di votare, con ampia maggioranza (più del 70%), contro l’approvazione del farmaco. Infatti, il farmaco ha ottenuto il via libera nell’ambito del programma di approvazione accelerata della FDA, che concede una licenza di marketing basata su un effetto dimostrato su un endpoint surrogato (sarebbe uno dei primi farmaci ad essere approvato a conclusione di un trial clinico fallito!), in questo caso la riduzione della placca amiloide, che dovrebbe portare a un successivo beneficio clinico. Questo percorso richiede prove post-approvazione (Fase IV dello studio)  per dimostrare tale beneficio. L’approvazione può essere ritirata se il trattamento non funziona.

I punti a favore

  • L’innovazione

Per la malattia di Alzheimer non esistono terapie ‘disease modifying’, ovvero terapie che siano in grado di arrestare o rallentare il decorso naturale della malattia. Aducanumab rappresenta un`importante novità in tal senso poiché rappresenta il primo farmaco ‘disease modifying’ giunto alla fase di approvazione per uso clinico per l’Alzheimer che, ricordiamo, è la più frequente malattia neurodegenerativa e verso la quale sussiste un unmet need farmacologico. I princiali manager della FDA hanno ritenuto che ci siano prove sostanziali che il farmaco riduce gli accumuli ‘cattivi’ di beta-amiloide dal parenchima cerebrale e che è ragionevolmente probabile che questa riduzione conduca a benefici clinici (sebbene solo in parte evidenziati dagli studi svolti finora).

  • La medicina di precisione

La storia degli anticorpi diretti verso le placche di beta-amiloide inizia alla fine degli anni 90, quando i recenti progressi delle tecniche di ingegneria farmaceutica portarono allo sviluppo di anticorpi diretti verso la beta amiloide, la proteina il cui anomalo accumulo nel parenchima cerebrale è ritenuta essere causa della malattia. L’utilizzo di tale tecnica, ovvero gli anticorpi monoclonali diretti verso una specifica proteina che si vuole combattere, ha rivoluzionato negli ultimi anni l`approccio farmacologico verso molte malattie neurologiche (Sclerosi multipla e cefalea) e non (malattie infiammatorie croniche sistemiche e soprattutto una vasta gamma di neoplasie) proiettando verso quella che oggi viene definita ‘medicina di precisione’. Sotto questo cappello si riuniscono tutti gli sforzi fatti dal mondo delle scienze biologiche negli ultimi 50 anni, volto ad identificare le cause delle malattie e ad agire specificamente verso di esse. A breve ci si potrà avvalere di questo approccio anche nella malattia di Alzheimer, nato oltre 20 anni fa quando la teoria della beta amiloide come causa della malattia era quella prevalente. Negli ultimi anni ulteriori studi hanno da un lato confermato che la beta amiloide innesca il processo neurodegenerativo (ovvero di progressiva perdita dei neuroni del nostro cervello), ma che questo processo inizia in una fase molto precoce di malattia (addirittura dieci o venti anni prima della comparsa dei sintomi) e che la causa principale dei disturbi congitivi del paziente possa essere attribuibile ad altri fattori (accumulo di proteina tau, reazione astrocitaria, fenomeni neuroinfiammatori). Se si aggiunge il fatto che si è dimostrata la presenza di accumuli di beta amiloide in cervelli di persone adulte o anziane che non sviluppano i problemi cognitivi tipici della malattia, si capisce come ad oggi non c`e` un consenso unanime nel mondo scientifico sul`esattol meccanismofisiopatologico della malattia. D’altro canto, aducanumab è destinato a pazienti in fase molto precoce di malattia e non a tutte le persone con diagnosi di Malattia di Alzheimer. 

  • L’attenzione e gli investimenti per curare l’Alzheimer

Siamo agli albori di una rivoluzione culturale in campo scientifico per cui abbiamo compreso la/una delle causa/e di malattia, riusciamo a trovare nel paziente i marcatori di questa malattia ed abbiamo un farmaco che rimuove questa causa con efficacia. Quelli che sono i punti potenzialmente sfavorevoli delle restrizioni terapeutiche possono essere invece guardate con occhio benevolo, poiche` possono dare l`oportunita` di investire ancora di piu` nella ricerca clinica  per identificare in una fase sempre più precoce la malattia. Tutto cio` porta a maggiori investimenti verso un settore della neurologia che per anni e` stato poco attenzionato in termini di allocazione di risorse ed investimenti. Seppure aducanumab si dimostrasse poco efficace in termine di rallentamento del declino cognitivo, la presenza di tale farmaco può fare da apripista per un utilizzo più diffusp e capillare dei biomarcatori di malattia , che risulteranno di cruciale importanza nel comprendere meglio i meccanismi con cui si sviluppa e sostiene l’Alzheimer e che se non oggi, forse domani, porterà ad una migliore gestione della malattia. Aumentare la consapevolezza e` il primo passo verso un approccio globale ed uno sforzo della comunita` scientifica e clinica per attuare le migliori startegie possibili verso questa malattia. Ben venga il clamore mediatico indotto da questa notizia, per sensibilizzare ancora di piu` la societa su questo argomento. 

Conclusioni

Il mondo ‘laico’ dei pazienti, delle associazioni pazienti e anche delle persone comuni che sono sensibili al tema dell’invecchiamento e delle demenze ha giustamente accolto con grande entusiasmo la notizia dell’approvazione di aducanumab da parte dell’FDA sbandierata in questi giorni sui media. Anche una buona parte della comunità scientifica vede di buon occhio l’approvazione di questo farmaco che apre spiragli di cura per una patologia frequente, altamente invalidante e che, finora, non ha avuto possibilità di trattamento. Non tutto ciò che luccica è oro, però, e lo scetticismo di una parte dei neurologi, geriatri e neuroscienziati è giustificato dai deboli dati scientifici su cui si è basata la commercializzazione (al momento avvenuta solo negli Stati Uniti) di aducanumab, diffidando anche dell’ipotesi scientifica su cui FDA si è basata, ovvero che la riduzione delle placche di beta amiloide possa essere correlata ad un effettivo miglioramento del paziente (fatto peraltro non avvalorato da quasi una ventina di trial precedenti con farmaci simili). Ancora non sappiamo come l’EMA (la Europen Medical Agency), l’organismo che protegge e promuove la salute dei cittadini e degli animali valutando e monitorando i medicinali all’interno dell’Unione europea, si schiererà relativamente ad aducanumab; tuttavia riteniamo opportuno che tutti abbiano consapevolezza sul dibattito scientifico in corso per meglio comprendere ed interpretare ciò che vedremo nel prossimo futuro: una promettente speranza di cura per le persone colpite da malattia di Alzheimer ma anche importanti riorganizzazione delle strutture neurologiche e geriatriche e di allocazione delle risorse umane ed economiche per una patologia frequente che, se il farmaco dimostrerà nel tempo una sua effettiva efficacia in ermini ‘pratici’ e non solo ‘radiologici’, rivoluzionerà in positivo le prospettive di un mondo in fase di progressivo e apparentemente inesorabile invecchiamento. Al momento, nonostante la presa di posizione dell’FDA, non siamo sicuri che questo accadrà. I prossimi mesi ci diranno se siamo già pronti per questa rivoluzione.   

Francesco Di Lorenzo, IRCCS Fondazione Santa Lucia (f.dilorenzo@hsantalucia.it)

Andrea Plutino, Ospedale Riuniti Marche Nord Stroke Unit (andrea.plutino@outlook.com)

Carlo Alberto Artusi, Dipartimetno di Scienze Naturali “Rita Levi Montalcini” Universita degli Studi di Torino (caartusi@gmail.com)

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