Descritto da Lancet come il “supremo” della plasticità sinaptica, Professore Ordinario di Neurologia all’Università degli Studi di Perugia e Direttore della Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, recentemente eletto Presidente della Società Italiana di Neuroscienze, il Prof. Calabresi continua ad impegnarsi nella ricerca preclinica e clinica, con sempre più attenzione agli aspetti traslazionali.
Quali sono le eccellenze mediche e di ricerca che ha prodotto e costruito a Perugia?
L’eccellenza di cui vado più fiero è la piattaforma di Neuroscienze, all’interno della quale coesistono una Struttura Complessa di Neurologia di alto livello ed un Laboratorio di Neuroscienze di caratura internazionale che conduce ricerca preclinica e sui biomarcatori di neurodegenerazione, con 1200 mq a disposizione all’interno della Scuola di Medicina dell’Università degli Studi di Perugia. L’interfaccia tra preclinica e clinica ci ha permesso di creare un network multidisciplinare ed estremamente proficuo tra medici, biologi, neurofisiologi e neuropsicologi. Siamo in grado oggi di garantire una Clinica con alta specializzazione in tutti i principali settori della Neurologia (sclerosi multipla, epilessia, disturbi del movimento, demenze, malattie cerebrovascolari), che accoglie pazienti direttamente da Pronto Soccorso 24h/24, e dove il Neurologo svolge la sua pratica a tutto tondo, oltre che nei sotto-settori di eccellenza. Inoltre collaboriamo con le altre Strutture Complesse dell’Ospedale di Perugia, che vanta equipe di altissima qualità nei settori della Neurochirurgia, della Neuroradiologia e della Neuroangiografia interventistica.
A 200 anni dalla scoperta della malattia di Parkinson, quali ritiene siano state le pietre miliari nella storia della malattia?
Nella storia delle patologie non si può prescindere dalla patogenesi e dalla terapia. Per questo sicuramente la scoperta dell’alfa-sinucleina ha un rilievo assoluto, perché ha permesso di evidenziare un processo comune a forme genetiche e sporadiche di malattia di Parkinson. Inoltre siamo stati in grado di definire le disfunzioni che l’alfa-sinucleina provoca alle cellule neuronali ben prima di determinarne la morte, aspetto di assoluta rilevanza per l’evoluzione verso terapie disease-modifying. L’altra pietra miliare rimane la levodopa, un trattamento di cui, nonostante le complicanze a lungo termine, non possiamo fare a meno per avere un impatto positivo sulla qualità di vita dei nostri pazienti.
Tra ipotesi prionica e coinvolgimento infiammatorio, quali sono le principali direttive su cui si muove oggi la ricerca nella malattia di Parkinson?
Sono entrambe ipotesi intriganti. Il livello di evidenze disponibili ad oggi per il coinvolgimento infiammatorio è rilevante, ed effettivamente il riscontro di alterazioni alfa-sinucleina relate prima della perdita di cellule neuronali sembra indirizzare verso questa ipotesi. D’altro canto, l’ipotesi prionica rimane degna di interesse, sebbene necessiti di ulteriore approfondimento per essere definitivamente confermata.
La diagnostica precoce ha senso anche nel PD, dove i trattamenti efficaci sul piano motorio fanno sentire i propri effetti collaterali dopo tempi dall’inizio? Prevede la possibilità di avere centri di diagnosi precoce come accade per i centri UVA? Cosa fanno gli altri Paesi?
La diagnostica precoce rimane assolutamente prioritaria nelle patologie neurologiche. Nella malattia di Parkinson il precoce inquadramento diagnostico, stadiando il paziente in termini di rischio di evoluzione a deterioramento cognitivo o fluttuazioni motorie, permette di selezionare più correttamente il trattamento, ed auspicabilmente permetterà in futuro di applicare precocemente terapie con impatto sul decorso della malattia. La ricerca di precoce diagnosi e terapia dovrà permettere anche alle patologie neurodegenerative di attuare un percorso chiaro, omogeneo e definito, come già accade ad esempio per la patologia cerebrovascolare. L’implementazione di Strutture di riferimento nazionale ed internazionale, quali ad esempio quelle appartenenti al Fresco Parkinson Institute Network, come la nostra, permetterà di attuare percorsi di eccellenza per tutti i pazienti, come accade già negli Stati Uniti.
In una Neurologia sempre più orientata alla sotto-specializzazione, quali sono i campi in maggiore evoluzione?
Sebbene l’iper-specializzazione sia necessaria per implementare nuove conoscenze, la figura del Neurologo dovrebbe restare quella di uno specialista a tutto tondo, in grado di prendere in carico la richiesta di salute del paziente in modo globale. Del resto, siamo tutti prima Neurologi, e solo poi iper-specialisti nei nostri rispettivi settori. Per questo le Strutture di Neurologia dovrebbero comprendere al loro interno le singole iper-specializzazioni di chiara competenza neurologica, dalla Stroke Unit ai Centri Epilessia: questo consente ai pazienti l’accesso ad alti ed omogenei livelli di cura, e a noi il mantenimento di una figura di Neurologo con competenze globali, oltre che iper-specialistiche.
Prevede una evoluzione nel trattamento delle patologie neurogenerative e dell’ictus ischemico verso strategie di neuroprotezione?
La neuroprotezione rimane sempre una chimera. Ma non è mai stato, né mai sarà, un viaggio senza ritorno. Anche se non raggiungeremo mai l’obiettivo finale di proteggere i nostri neuroni, saremo in grado di capirne meglio i meccanismi di danno, ed elaboreremo trattamenti di rilievo. Del resto, l’acido valproico era stato studiato come neuroprotettore, ed ora, dopo aver scoperto le capacità epigenetiche, inizia ad avere incoraggianti evidenze nei protocolli chemioterapici ed addirittura nell’ischemia cerebrale.
Quale futuro prevede per chi diventa Neurologo oggi?
La Neurologia è sempre stata un settore di alta specializzazione, e di alta competizione esterna ed interna. Tuttavia, se interpretata in maniera corretta, è una specializzazione che promette, nel prossimo futuro, una grande evoluzione in termini di diagnostica e terapia. Il ruolo del Neurologo resterà sempre difficile, sia per le patologie sia per le scelte amministrative e politiche che influenzeranno i settori di competenza. Nonostante tutto, chi vorrà essere dedito alla ricerca clinica e preclinica troverà di certo numerose possibilità per esprimere le proprie qualità, e potrà avere grandi soddisfazioni.
Cosa amava della neurologia quando ha scelto questa professione e cosa consiglia a un giovane che inizia questo percorso?
Mi sono innamorato dell’aspetto logico. Ricordo che, studiandola durante il Corso di Laurea, rimasi affascinato dalla sistematicità dell’organizzazione delle strutture nervose e del loro funzionamento. Vi era, e vi è ancora, una chiave unica rispetto alle altre specialità, che la colloca tra il rigore logico con cui interpretare le sindromi cliniche, e l’inevitabile avvicendamento con domande di più profondo carattere filosofico e artistico. Ad un giovane, che inizia questo percorso, non posso far altro che augurare di essere curioso, e di appassionarsi, nel vero senso del termine: dedicarsi, con tutto se stesso, ad una scienza dal futuro brillante.
Michele Romoli, Perugia