Chi si occupa di neurologia ha sicuramente avuto a che fare, in modo più o meno approfondito, con l’elettroencefalogramma. La refertazione dell’EEG è un’arte che si affina col tempo, servono chilometri di tracciati per allenare l’occhio e …rullo di tamburi…NON è il topic di questo post. Oggi parliamo di un altro aspetto dell’EEG, un po’ più di nicchia, ma comunque molto interessante.

In un momento storico dove si sente parlare sempre di più, e spesso pure a sproposito, di big data, brain-computer interface e machine learning vale la pena avere qualche base per capire quali possono essere i differenti livelli di lettura dell’EEG. Parliamo di tutta quella mole di informazioni che non si vede ad occhio ma può essere raccolta e riassunta in modo quantitativo con software specifici e tecniche di analisi del segnale.

Disclaimer: non vi annoierò a morte con nozioni di algebra lineare o lunghissime digressioni sulle tecniche di source imaging; parleremo dell’analisi quantitativa EEG nel modo più intuitivo possibile, giusto per capire di cosa si tratta. Lascio in bibliografia qualche articolo interessante per chi volesse approfondire gli argomenti.

La scoperta di Berger è ormai vecchia di quasi 100 anni, ciò nonostante l’EEG continua ad esercitare grande interesse scientifico. Questo è possibile grazie ai costanti progressi nella potenza di calcolo dei computer ed alle contaminazioni che arrivano dai campi dell’imaging e della fisica. Il segnale EEG è rimasto sempre lo stesso ma oggi possiamo estrarre dati interessanti che prima non erano minimamente immaginabili. Questi dati sono detti appunto quantitativi, perché hanno un valore numerico preciso, si possono confrontare e non soffrono della stessa soggettività che caratterizza il referto clinico di un EEG; ci si riferisce a questo insieme di misure, quando si parla di EEG quantitativo.

Per capire a fondo cosa c’è dentro all’EEG proviamo ad analizzarlo partendo dal livello di complessità più semplice, quello con cui abbiamo a che fare tutti i giorni: possiamo pensare al normale EEG come ad un segnale tridimensionale: tempo (asse X), ampiezza (asse Y) e spazio (asse Z) quest’ ultimo legato alla disposizione dei canali sullo scalpo (il montaggio).

Andando più in profondità dobbiamo pensare che il cervello organizza la propria sintassi (il modo in cui codifica e scambia informazioni) in frequenze. Come riassume Buzsáki nei suoi libri l’attività oscillatoria è efficiente in termini bioenergetici e permette il cross-talk fra diverse aree cerebrali 1. Questa attività oscillatoria può essere scomposta nelle sue frequenze principali utilizzando la matematica (in particolare la trasformata di Fourier o metodi analoghi). Piccolo ripasso: la trasformata di Fourier parte dall’assunto che un segnale sia il risultato della somma di onde sinusoidali di diversa frequenza, attraverso un processo chiamato convoluzione possiamo estrarre le frequenze che costituiscono un segnale complesso (Fig.1). In questo modo possiamo estrarre la componente spettrale dell’EEG, quindi sapere quali frequenze lo compongono.

Fig.1

Fig 1: una rappresentazione molto semplificata di come qualsiasi tracciato complesso (immaginate che l’ultima onda sia una derivazione EEG) sia formato da una composizione di più frequenze semplici: la componente spettrale dell’ultima onda è rappresentata dalle prime 3

Si passa così da una registrazione di ampiezza su tempo (quella dell’EEG “normale”) ad una di potenza (db o mivroV2/Hz, asse Y) su frequenza (Hz, asse X), dove la potenza è un’unità di misura che ci dà idea di quanto sia rappresentata nel segnale una determinata frequenza rispetto alle altre. L’elaborazione grafica di questi dati può essere fatta in svariati modi: di seguito vi riporto la scomposizione spettrale del mio EEG (60 canali, sampling 256 Hz, filtrato con notch, passa alto 0.5 hz e passa basso 128 Hz). Potete quindi vedere che in un caso non patologico (che spero di rappresentare) le frequenze basse hanno una potenza alta, e viceversa (Fig.2).

Fig. 2

Lo spettro di un soggetto normale è infatti tipicamente caratterizzato da una potenza elevata nelle bande più basse (delta, theta) che tende a decrescere salendo di frequenza: questo tipo di comportamento viene definito pink noise (o rapporto 1/f), in questo l’EEG si differenzia dai segnali puramente randomici come il white noise, ad esempio il rumore che fa una TV che non prende il canale.

Se a questo punto volessimo aggiungere anche la variante spazio, potremmo invece avere una rappresentazione di questo tipo (Fig.3), che rispecchia la distribuzione sullo scalpo della potenza di un determinato intervallo di frequenze:

Fig. 3

Per avere una rappresentazione grafica come questa dobbiamo però scegliere un intervallo di frequenze. Questo è un problema legato alla dimensionalità dei dati, possiamo vedere in un’immagine 3 variabili riassunte, per vederne 4 dovremmo usare un video o una serie di topoplot messi in fila; in quanto sarebbe impossibile visualizzare in un’unica figura tutto lo spettro e la distribuzione. Rappresentando la distribuzione della potenza in una determinata banda sullo scalpo possiamo ad esempio valutare se c’è un picco di potenza e se c’è un gruppo di canali che lo esprime maggiormente. Per meglio capire questo concetto riprendiamo il mio spettro, e andiamo a vedere la rappresentazione topografica, ad esempio, delle frequenze in banda alpha:

Su di esse possiamo vedere come ci sia un picco relativo in banda alpha nello spettro che emerge dal pink-noise, utilizzando il topoplot vediamo come il picco è maggiormente rappresentato nelle regioni occipitali.

Aumentando ancora il livello di complessità si può studiare come si distribuisce la potenza spettrale nel tempo con metodi di analisi tempo-frequenza (es. Morlet convolution): questi sono strumenti matematici più complessi che non solo ci permettono di ottenere una rappresentazione bi-dimensionale (db ed Hz) di ciascun canale ma addirittura tridimensionale, includendo anche un asse dei tempi. In questo modo possiamo osservare che un picco di attività spettrale in una determinata frequenza avviene dopo uno stimolo o evento, ad esempio a 10, 20 , 30 o msec di distanza (Fig.4).

Fig.4

Fig.4 Questa immagine dimostrativa (presa da un bellissimo lavoro sulla TMS/EEG2), è un ottimo esempio di analisi tempo/frequenza, in cui possiamo vedere come il potenziale evocato (in alto) venga analizzato su tre scale: tempo (ms), frequenze (Hz) e potenza (db, i colori). Al tempo 0 è stato somministrato uno stimolo, e si può vedere come questo abbia determinato un’aumento della potenza di tutte le frequenze, che però è più marcato e duraturo per la frequenza a 11 Hz (linea tratteggiata). Questo stimolo, che nel caso dello studio da cui è tratta l’immagine derivava dalla stimolazione magnetica transcranica (TMS), può ovviamente essere evocato in molti modi diversi, e l’analisi effettuata per molteplici punti dello scalpo.

Volendo complicare ancora un pochino le cose; possiamo riflettere su come il cervello sia un network in cui le vare aree parlano tra di loro con frequenze diverse, scambiando informazioni ed influenzandosi a vicenda. Per studiare queste proprietà si possono estrarre i momenti angolari della componente immaginaria della trasformata di Fourier (frase tecnica che potere ignorare) per stimare quanto due elettrodi siano connessi fra loro. Per valutare la connettività si usano vari indici come Phase Locking Value (PLV), Phase Lag Index (PLI), Granger connectivity, Phase Transpher Entropy (PTE) con cui si può stimare il passaggio di informazioni da un nodo (elettrodo) all’altro di un network. Ognuno di questi metodi offre determinati vantaggi e ha fragilità particolari.

Si può quindi osservare la connettività resting-state come già si fa con il Default Mode Network in fMRI ma concentrandosi su un aspetto diverso che è la sincronia in una determinata banda EEG (Fig.5). In alternativa si possono studiare le alterazioni di connettività nelle patologie neurologiche.

Fig.5

Fig.5 modificata da Fraga Gonzales et. al2. Immagine che mostra il processo per ottenere matrici di connettività (B) che poi vengono utilizzate per costruire network secondo la teoria dei grafi, che esprimono cluster di zone che comunicano molto fra di loro.

Per concludere questa digressione sulle tecniche di studio dell’EEG possiamo rapidamente citare tutti quegli indici di misura che tramite assunti matematici e fisici riassumono delle caratteristiche del segnale riducendone la ‘dimensionalità’. Fra questi metodi ci sono i micro-stati3, l’analisi frattale e l’entropia 4 , l’analisi esponenziale dello spettro5, la complessità 6. Sono tutti modi molto interessanti di pensare all’segnale cerebrale, sfortunatamente meno intuitivi degli altri concetti che abbiamo usato. Ognuna di queste tecniche è utilizzata in determinati campi per riassumere delle proprietà peculiari dell’eeg. Se vi interessa vi esorto a leggere gli articoli in bibliografia.

Abbiamo visto come il segnale EEG contenga molti parametri che non si vedono in refertazione, questi dati sono quantitativi possono a dare un ‘read-out’ di eventi come un rallentamento in banda theta che altrimenti rimarrebbero soggettivi e difficili da integrare in un’ipotesi scientifica. Abbiamo deciso di scrivere questo post perché pensiamo che per chi fa il neurologo sia importante interfacciarsi con queste realtà ed avere un’idea di base, se oggi questi argomenti possono sembrare inutilmente complicati e speculativi in alcuni anni potrebbero entrare nella pratica clinica di tutti.

Jacopo Lanzone, Università Campus Bio-medico di Roma

Bibliografia

1) György Buzsáki. Rhythms of the brain. (2006).
2) Fraga González, G. et al. EEG Resting State Functional Connectivity in Adult Dyslexics Using Phase Lag Index and Graph Analysis. Front. Hum. Neurosci. 12, 341 (2018).
3) Khanna, A., Pascual-Leone, A., Michel, C. M. & Farzan, F. Microstates in resting-state EEG: Current status and future directions. Neurosci. Biobehav. Rev. 49, 105–113 (2015).
4) Di Ieva, A., Esteban, F. J., Grizzi, F., Klonowski, W. & Martín-Landrove, M. Fractals in the neurosciences, Part II: clinical applications and future perspectives. Neurosci. Rev. J. Bringing Neurobiol. Neurol. Psychiatry 21, 30–43 (2015).
5) Colombo, M. A. et al. The spectral exponent of the resting EEG indexes the presence of consciousness during unresponsiveness induced by propofol, xenon, and ketamine. NeuroImage 189, 631–644 (2019).
6) Casarotto, S. et al. Stratification of unresponsive patients by an independently validated index of brain complexity. Ann. Neurol. 80, 718–729 (2016).

Categorie: Neurofisiologia

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