Riflessioni varie ed eventuali di alcuni specializzandi in Neurologia della Scuola di Pavia

<< Senza che neanche me ne sia accorta, mi sono ritrovata in un turbinio di eventi controllabili solo in parte dalla mia volontà: la specializzazione, il trasferimento in una nuova città, la pandemia, il cominciare a fare il medico “per davvero”. Tempo di iniziare a prendere confidenza col diapason e di tenere in mano con meno goffagine il martelletto, che quel brandello di routine cui la mia mente aveva a fatica cominciato ad abituarsi, di botto è stata stravolta. >> (Roberta Esposto, Specializzanda in Neurologia, I anno, Marchigiana).

<<Pavia, Lombardia: una terra da me poco esplorata, dove non sono nata ma dove ho scelto di essere trapiantata da circa un anno e mezzo per l’inizio della specialità. Un luogo da cui sfuggivo ad ogni occasione: i weekend sono fatti per viaggiare ed assaporare la libertà del XXI secolo, le festività per tornare nella propria terra ed in generale ricongiungersi con i propri congiunti (termini attuali mai quanto ora). Quando tutto questo viene meno in modo così improvviso ed inaspettato, è necessario riorganizzare la propria quotidianità. Prende piede la consapevolezza della fortuna di essere medico e di poter aiutare gli altri con il proprio lavoro. A Pavia ed alla Lombardia mi sono abituata, sempre con la speranza di poter tornare a casa e rivedere presto i miei cari. >> (Lara Ahmad, Specializzanda in Neurologia, II anno, Sarda)

<<Mi sono trasferito a Pavia ad inizio febbraio 2020, dopo oltre un anno a fare il pendolare avanti e indietro da Milano. Si sa, la vita dello specializzando non gode di tanto tempo libero, e le mie poche ore di libertà non volevo trascorrerle in treno. Pertanto eccomi qua, in un luogo frequentato per lavoro, ma ancora nuovo, da conoscere, da abitare. Peccato che, concluso il trasloco giusto in tempo, mi sono ritrovato forzatamente in casa, segregato, all’interno di queste mura per me non ancora familiari. Quindi ho cominciato a muovermi per strade deserte, svuotate dei pochi tratti a me noti. E la vita a Pavia per me è iniziata in una tragedia silenziosa interrotta solamente da sirene di autoambulanze. Mi immagino che, quando tutto sarà tornato alla normalità, inizierò davvero a vivere a Pavia.>> (Giuseppe Fiamingo, Specializzando in Neurologia, II anno, Lombardo).

<<Dalla notizia lontana dell’ennesimo virus pericoloso ma confinato dall’altra parte del mondo, al primo caso italiano, al lockdown totale; il Covid è stato una cascata potente che ha fatto vacillare, almeno per un attimo, anche il più ottimista tra noi. C’era paura, e ben pochi erano disposti a fare gli eroi, ma c’era anche tanta voglia di dare il proprio contributo in quella che sarà probabilmente la più grande emergenza sanitaria della nostra generazione. Sono stato catapultato in un ambiente ricco di nuove sfide, spesso più grandi di me – il tempo di prepararsi non c’era -, ho toccato con mano uno dei Pronto Soccorso più martoriati della Lombardia e vissuto un reparto ai limiti della saturazione, ma sono stato fortunato perché ho sempre potuto camminare sulla strada della Neurologia. E se è vero, com’è vero, che gli eventi più importanti della vita non sono necessariamente le cose che si fanno, ma contano anche quelle che ci capitano, in questo disordine ho trovato accanto a me un gruppo di specializzandi e amici con cui ho legato più di quanto non avessi mai potuto fare in condizioni normali. Ed è forse la cosa che più di tutte mi porterò dietro di questa esperienza.>> (Giacomo Greco, Specializzando in Neurologia, I anno, Pugliese nativo, Milanese d’adozione).

Recap. Riavvolgiamo le fila del pensiero. Specialità in Neurologia, Pavia, rotazioni su due ospedali: il discreto e longilineo Istituto Neurologico Mondino e la mamma Policlinico, brulicante e massiccia. Ci si muove tra reparti con ricoveri in elezione ed in urgenza, servizi e guardie in Istituto ed in Pronto Soccorso. 

Fine febbraio: scatta l’allerta in Lombardia.

In quanto aspiranti neurologi, non abbiamo lavorato in un vero e proprio reparto Covid+. Di fatto noi specializzandi non siamo mai stati reclutati nelle Rianimazioni o nelle Medicine del Policlinico, sia perché di fatto si è continuato a lavorare, seppur in un regime ridotto, ma comunque con ricoveri in Istituto, sia perché ritenuti specializzandi di area medica “non direttamente in prima linea” (qui si potrebbe aprire un capitolo più o meno polemico sull’argomento: ci sono medici più medici di altri? C’è anche tra noi colleghi specializzandi una sorta di gerarchia o è solo una questione di competenze?). Fatto sta che noi abbiamo continuato a lavorare nei reparti di Neurologia. Dai primi di aprile, tuttavia, anche in Istituto è stato allestito il reparto NeuroCovid deputato ad accogliere i pazienti Covid positivi con problematiche neurologiche. Le turnazioni vengono, a chi più a chi meno, modificate: noi quattro ci ritroviamo ad essere fagocitati dalla Stroke Unit, allocata presso l’Ospedale San Matteo. Per alcuni di noi, il mondo della Stroke Unit era una sorta di luogo invalicabile ed ignoto, sia per formazione e scuola di provenienza, sia (e questo è ciò che più conta) per carattere, e non per tutti è stato facile adattarvisi. Ad ogni modo le direttive prevedevano che chi fosse in Policlinico non potesse tornare a fare guardia o ambulatorio in Istituto. Dal nostro piano di studi infatti, è previsto un ambulatorio settimanale da seguire sin dal I anno, coltivando così sin da piccoli la subspecialità di interesse; inoltre, il piano guardie prevede sia guardie in Istituto che presso il Pronto Soccorso del Policlinico, a prescindere dalla rotazione del mese. In epoca Covid, tutto ciò è venuto meno per ridurre quanto più possibile il pendolarismo interistituti: ciò ha voluto dire che chi lavorava in Policlinico non poteva tornare in Istituto, dunque bisognava coprire reparto e PS sette giorni su sette, cosa non fattibile per i soliti due specializzandi in turnazione Stroke, motivo per cui, con un piccolo rimaneggiamento turni, il numero di Strokkologi è raddoppiato a 4, così organizzati:  2 specializzandi di reparto in turnistica e 2 di guardia in PS, alternando le coppie di settimana in settimana.

Per quanto concerne la tipologia di paziente che è giunta alla nostra attenzione in epoca Covid, vi sono state delle variazioni. Nei primissimi tempi abbiamo registrato una diminuzione del numero di accessi in PS (soprattutto di quelli meno “impellenti” quali instabilità posturale inveterate o cefalee di varia natura) e ciò che colpiva maggiormente era il ritardo dell’accesso alle cure.

La paura dilagava tra i cittadini che preferivano non recarsi in PS, sottostimando l’entità del loro problema: gli “ictus in finestra” si sono ridotti notevolmente.

In un secondo momento il numero di accessi è tornato a risultare in linea con l’epoca pre-Covid, o addirittura aumentato, considerando che la nostra Stroke Unit è diventata dall’8 marzo un centro “hub” della Lombardia. In reparto abbiamo avuto pochi casi conclamati di pazienti Covid+. Tuttavia occorre sottolineare che, come è noto, la sensibilità del tampone (effettuato ad ogni paziente ricoverato) è prossima al 60%, dunque è verosimile pensare che molti di quei pazienti con torace suggestivo, fossero di fatto affetti.

I pazienti erano più complessi da gestire per vari motivi. Prendiamo come esempio il D-Dimero che, come ben saprete, è un marcatore laboratoristico di ipercoagulabilità, richiesto di routine all’interno del “pannello esami Covid”. In questo periodo è stato un po’ il cruccio del Neurologo: la trombosi (ahimé fortemente aumentata dal Covid-19) è alla base dell’eziopatogenesi dell’ictus, ma il riscontro di valori estremamente elevati di D-Dimero, ci hanno portato ad indagare altre possibili cause alla base di tale rialzo. Infatti, i nostri pazienti strokkati, Covid+ franchi e non solo, hanno presentato durante la degenza comorbidità frequenti, quali TVP, embolia polmonare ed IMA; molto più che in altri periodi.

Di conseguenza la tendenza terapeutica che abbiamo adottato era quella di iniziare la terapia profilattica per la TVP o anticoagulante, quando indicata, nei tempi più brevi possibili per limitare al minimo le complicanze.

Capitolo a parte quello della nostra formazione a livello teorico, oltre che pratico. La nostra è una specialità che vive e respira di teoria, criteri e definizioni più di qualunque altra, ed è naturale che il carico di lezioni sia sostanzioso, in condizioni normali. Non è più l’università, quando iniziava a diventare chiaro quali corsi ci piacessero e di quali avremmo (e abbiamo) fatto volentieri a meno di seguire. Le lezioni in specialità rispondono alle domande che nascono in clinica e permettono di affrontare situazioni e problemi pratici con consapevolezza. Per vari mesi questo aspetto è passato in secondo piano, e la nostra formazione teorica ha subito un rallentamento. Solo recentemente sono state recuperate le lezioni in maniera alternativa: da quelle a distanza svolte in diretta a quelle registrate su piattaforme online di vario genere.

Da un punto di vista strettamente personale, ciò che più ci è pesato in questo periodo, è stato il non poter visitare il paziente nel classico modo cui un neurologo, e ancor prima un medico, è abituato: scotomizzare la visita è stato il prezzo da pagare per salvaguardarsi; come pure evitare di “sprecare” i DPI, motivo per cui in alcune stanze, entrava solo lo strutturato. Per non parlare poi della ritualità della vestizione per andare in PS, ed il continuo dubbio sulla “negatività” dei pazienti.

E’ stato un periodo intenso, stressante; ma sicuramente un’esperienza lavorativa che ci ha permesso di ampliare le nostre conoscenze mediche e di costruire legami di amicizia tra noi più solidi, unica vera nota positiva in questa situazione tutt’altro che felice.

Roberta Esposto, Lara Ahmad, Giuseppe Fiamingo, Giacomo Greco; Pavia.

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