Passata la fase acuta dello stroke, una riflessione che sorge sempre quasi spontaneamente è: “Riuscirà a recuperare?”. A seconda dei protocolli interni ad ogni equipe medica, il processo di riabilitazione del paziente post-stroke inizia repentinamente. Chiunque abbia avuto esperienza con questo tipo di pazienti, sa che i pazienti dovranno lavorare sodo per tentare di recuperare quanto più possibile. Il Stroke Recovery and Rehabilitation Roundtable (SRRR) meeting intercorso a Philadelphia, USA, nel maggio del 2016, ha riunito grandi studiosi di malattie cerebrovascolari da diverse parti del globo con lo scopo di stilare delle linee guida e delle raccomandazioni riguardo i protocolli di riabilitazione, di modo che siano più omogeneamente applicati e quindi di conseguenza analizzati su più larga scala nell’efficacia. Difatti, tanto è stato fatto per comprendere le migliori strategie d’azione in acuto, ma ancora poco di riproducibile ed efficace è possibile rinvenire in letteratura scientifica riguardo la riabilitazione e la ripresa funzionale del paziente. Con questo scopo hanno istituito il motto: “Bedside to Bench”.

Su Neurorehabilitation e Neural Repair sono stati recentemente pubblicati i consensus statements del SRRR numero 1 e numero 2, che passano in rassegna la letteratura scientifica riguardante l’argomento.

Vengono identificate quattro aree di priorità sulle quali è fondamentale agire: 1) Ricerca preclinica di recupero, la parola chiave è: Cronicità. Vanno individuati modelli animali che riproducano le condizioni della popolazione affetta da stroke (generalmente anziana e con co-morbidità), che non recupera rapidamente, mentre il limite dell’uso dei roditori sta giustappunto nel fatto che siano spesso giovani, varino raramente di genere e che recuperino molto rapidamente. Inoltre gli Stroke Animal Models variano molto tra loro, motivo per cui sono state istituite delle raccomandazioni sulle metodiche d’induzione dello stroke nel modello animale

2) Biomarkers di ripresa, la parola chiave è: Indicatore. Potranno essere sia analisi biumorali, e quindi molecole prodotte a livello encefalico che oltrepassino la barriera ematoencefalica, che analisi d’imaging, per cui diviene indispensabile tentare di usare le stesse metodiche che si userebbero nell’uomo per comparare al meglio i risultati, che test neurofisiologici, come nella proposta di usare misure di TMS per valutare le relazioni tra emisferi corticali e integrità del tratto cortico-spinale, od ancora una combinazione di biomarkers di diversa natura

3) Sviluppo di interventi efficaci, la parola chiave è: Riproducibilità. Bisogna omogeneizzare le valutazioni nei trial di riabilitazione e creare protocolli standardizzati descritti al meglio. The Template for Intervention Description and Replication (TIDieR) è un esempio che va nella giusta direzione.

4) Misurazioni nei Clinical Trials, la parola chiave è: Precisione. Esiste la possibilità di utilizzo di supporti di video-recording per documentare le fasi di ripresa, associati a software in grado di comparare i movimenti degli arti pre e post-stroke nei modelli animali; molto importante è senza alcun dubbio la misura diretta del processo di ripresa biologica, che dovrebbe condurci verso la possibilità di poter quantificare e discernere tra la ripresa adattativa ed il recupero neuronale.

Gli autori dei consensus statement di cui sopra definiscono un trial di riabilitazione come efficace se in grado di poter rispondere affermativamente alla seguente domanda: “l’intervento descritto ha causato un qualche cambiamento aldilà della spontanea ripresa biologica?” La ricerca nei campi della Neuro-robotica e della Neuroriabilitazione sta producendo molto nell’ultimo periodo e sempre più produrrà nei prossimi anni, giungendo di certo al punto di poter ricalibrare il tiro dell’attuale riflessione fatta dai medici di fronte ad un paziente post-stroke, passando da: “Riuscirà a recuperare?” a: “Recupererà del tutto?”.

Luca Cuffaro, Palermo

 

 

 

 

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