Nel numero di Nature di febbraio è comparso un articolo dal titolo “Activity-dependent spinal cord neuromodulation rapidly restores trunk and leg motor functions after complete paralysis” (https://www.nature.com/articles/s41591-021-01663-5) che dimostra per la prima volta nell’essere umano la possibilità di riprendere funzioni motorie agli arti inferiori in soggetti che erano stati colpiti da gravi lesioni midollari acquisite.
L’articolo segue una lunghissima fase di studio su modelli murini e riporta come primo nome il dr. A. Rowald facente parte del gruppo del prof. G. Courtine, comprende diversi gruppi con sede principale presso lo Swiss Federal Institute of Technology (EPFL) di Losanna (Svizzera) e comprende al proprio interno diversi ricercatori italiani con base presso Scuola Normale Superiore di Pisa.
Nello studio viene testato l’utilizzo di stimolatori di superficie del midollo spinale guidati dall’esterno con tecnologia wireless in tre soggetti che avevano subito gravi lesioni midollari a seguito di traumi della strada e che erano per questo motivo costretti all’immobilità in carrozzina.
La stimolazione epidurale agisce guidando in modo diretto l’attività dei motoneuroni, riorganizza i pattern locali generatori del cammino, e determina la riorganizzazione delle aree motorie che permettono il movimento.
Elemento cruciale per la riuscita del progetto è stata l’elaborazione da parte del team di ingegneri degli stimolatori epidurali, piccolo gioiello ingegneristico costituito da placchette morbide adattabili alla superficie del midollo al cui interno sono inseriti diversi elettrodi che vanno a stimolare in maniera selettiva alcuni gruppi neuronali responsabili dei singoli movimenti muscolari.
In tutti e tre i partecipanti un periodo di due mesi di training dopo posizionamento degli elettrodi determina la possibilità di ritornare a camminare con appoggio bilaterale per brevi distanze, un risultato molto importante se si tiene conto dell’elevato grado di severità iniziale della malattia midollare: 2 pazienti presentavano una lesione molto grave, classificata come ASIA (American Spinal Injury Association scale) di grado A, ovvero plegia completa, ed uno con lesione ASIA B, ovvero movimenti solo accennati. Uno dei più grandi ostacoli da superare per la riuscita del progetto è stata infatti quella di provare a rafforzare dei muscoli atrofici e parzialmente fibrotici per il mancato utilizzo, motivo per cui potrebbero emergere dei miglioramenti ancora più importanti per tempi più lunghi di sperimentazione.
Una fase fondamentale del progetto è stata rappresentata dall’organizzazione preoperatoria, durata alcuni mesi, in cui i soggetti sono stati sottoposti ad una scannerizzazione tridimensionale della midollo spinale che è stata confrontata con altri midolli spinali in cadaveri e che ha guidato la fase chirurgica determinando il posizionamento corretto degli elettrodi in punti responsabili dell’attivazione dei principali gruppi muscolari degli arti inferiori (iliopsoas, gastrocnemio; retto dle femore; soleo; vasto laterale; semitendinoso; tibiale anteriore). Una volta eseguito l’intervento chirurgico, i tre soggetti sono stati seguiti in laboratorio in modo tale che a ciascun movimento fosse associato un determinato pattern di stimolazione degli elettrodi (per esempio per attivare il tibiale anteriore era necessaria una determinata sequenza di attiva attivazione mentre per attivare il soleo era necessaria un’altra sequenza). In questa fase, giorno dopo giorno, sono state provate prima le attivazioni dei singoli muscoli e poi il mix in pattern più complessi: in pratica è come se fossero state provate prima tutte le singole note, per poi creare alcuni spartiti semplici che corrispondevano ai movimenti.
A questo punto sono stati generati dei pattern basilari corrispondenti a movimenti stereotipati che sono stati testati lungamente su i vari pazienti.
Nella fase di training questi pattern potevano essere attivati anche da tablet con tecnologia wireless e quindi in questo modo tramite un semplice comando si poteva evocare uno specifico movimento. Nei due soggetti più gravi era stato possibile evocare delle brevi sequenze di passo da eseguire in palestra con utilizzo di barre parallele mentre nel soggetto con livello di partenza meno compromesso era stato possibile provare anche movimenti più complessi come il nuoto e la pedalata.
Si tratta di uno studio pioneristico con costi e tempi difficilmente riproducibili su larga scala, ma ha il merito di segnare un solco in cui certamente verranno numerosi studi successivi che riusciranno, si spera, a portare una concreta speranza a pazienti attualmente costretti all’immobilità.
Francesco Iodice
RCCS San Raffaele Pisana, Roma