Sveglia presto, riposato, rigenerato. Pochi preparativi e in neanche dieci minuti di bicicletta sono a lavoro. Una routine così solida che neanche una pandemia potrebbe scalfire. A parte la mascherina, così fastidiosa durante la pedalata, che mi appanna gli occhiali ad ogni boccata d’aria. Nonostante ciò, si sfreccia di buon umore verso l’ospedale: strade deserte, il paradiso del ciclista!

Arrivato, lego la bici, check temperatura all’ingresso< ufficio prenotazioni deserto. In ascensore pochi sguardi anonimi, diffidenti, a debita distanza. Cerco di ignorarli per tutta la lunga (eterna) ascesa. Nell’atrio, porte del reparto blindate. Una volta dentro, cambio di mascherina e guanti. Nello studio medico ancora quella stessa diffidenza, quell’irrigidimento, quelle occhiate sospettose tra i colleghi. No, non è normale, neanche per queste giornate…

«Che succede?» chiedo.

«La Fede è positiva.» La Fede, giusto ieri, al cambio guardia, ci siamo incrociati, un saluto e via. Sicuro che ci sarebbe stato tempo oggi per due chiacchere più in tranquillità. «Hai avuto contatti stretti con lei in questi giorni?»

Balbetto un no, dandomi fiducia. ‘Sto virus non potrà acchiapparmi così facilmente, su. Ed aggiungo di fretta «come sta?»

Fortunatamente, a parte febbre, tosse e spossatezza, mi assicurano che sta benone.

«Gli altri del suo turno faranno il tampone, hanno mangiato assieme…»

Ne prendo atto, che altro posso fare?! Spero solo di iniziare il giro pazienti al più presto, magari riusciamo a fingere, nonostante i DPI, nonostante l’equipe depauperata, che tutto proceda normalmente. Spero nella routine. Rimpiango la routine! Come un mantra rievoco mentalmente la lista dei pazienti, la loro condizione clinica. Cerco di ricordare forsennatamente gli esami, le dimissioni, le consulenze varie, riempiendomi la mente del lavoro incombente piuttosto che pensare alle conseguenze di un’ulteriore assenza in reparto. Già vedo la tabella dei turni rivoltata come un calzino, per l’ennesima volta. Guardo la lavagna, in cerca di nuovi nomi di pazienti ricoverati durante la notte.

Tre nuovi! Ormai, rispetto ai primi tempi, quando il Covid faceva talmente paura da lasciare a casa gli infartuati, gli strokkati, i ricoveri sono ricominciati a fioccare. E non casi abituali…

«Hai presente B. A.?» mi rinfrescano la memoria. «Aveva il d-dimero a 35.000, abbiamo fatto fare un ecocolordoppler degli arti inferiori e aveva la TVP; non ad uno, ma ad entrambi gli arti! E non è tutto: alla angioTC del torace, chiesta nel sospetto di TEP, aveva pure un trombo flottante in aorta!»

Certo che mi ricordo di B. A., il nuovo ingresso con ictus carotideo destro a sospetta patogenesi cardioembolica (…e fin qui ordinaria amministrazione…) e con sospetta pregressa infezione da coronavirus. Sintomi inequivocabili, proveniente da Codogno (!!!), radiografia del torace terrificante, e l’infettivologo consulente che, nonostante i vari tamponi negativi, non ha manifestato il minimo dubbio: COVID!

Ecco, uno dei tanti casi di pazienti con presunto esordio ictale ma dall’evoluzione insolita, con complicanze rare che inspiegabilmente fioccano all’inverosimile stravolgendo le statistiche. E poi emerge un sospetto clinico, anamnestico o strumentale che rimanda al coronavirus. Difficile il contrario, direte voi, che in Lombardia non si pensi al coronavirus. Eppure, allo stesso tempo, seppur specializzando alle prime armi, mi rendo conto dell’anormalità epidemiologica. Mi rendo conto, durante il giro visite e gli scambi di consegne, del lievitare del tempo trascorso a discutere di casi per i quali non ci si dà pace, semplicemente non ce li si spiega; dell’insicurezza sulle terapie; dei dubbi sulla gestione del malato, anche tra neurologi esperti. Il tutto sommato al timore della malattia, alla non sempre prontezza e adeguatezza delle procedure di isolamento e protezione individuale, al fatto che già qualcuno, chissà come, si è beccato il Covid e ora sta a casa. Chi sarà il prossimo?

Un senso di inevitabilità domina questi giorni, che senza rendersene conto diventano settimane e poi mesi. Che ricreano inevitabilmente una nuova routine nella quale pian piano ci stupiscono sempre meno i casi insoliti, ci dà sempre meno fastidio la FFP2, siamo sempre più insensibili alla retorica nazionale esultante i sanitari “in prima linea”.

A fine turno, riemerso da ore in apnea sotto maschera, cuffietta, visiera e camici monouso, con le mani contemporaneamente secche e sudate, cotte dai guanti, esco finalmente all’aria aperta. In sella alla mia bici, zigzagando liberamente in mezzo alla carreggiata, in una precoce notte primaverile, avverto un’immensa sensazione di libertà e orgoglio che mi accompagna fino a casa.

fbt

Seppur tragica, sto vivendo un’epoca nuova, che ispira e induce a riflessione. E non c’è modo migliore per riflettere che in solitudine, con in mente così tanti stimoli, eventi e ricordi accumulati durante la giornata da farmi sentire a tratti ubriaco, a tratti importante. 

Giuseppe Fiamingo

Specializzando II anno Neurologia Pavia

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