Le varie sindromi cliniche che costituiscono la demenza fronto-temporale – FTD (variante comportamentale, demenza semantica, afasia non fluente progressiva, demenza associata a malattia del motoneurone e demenza associata a parkinsonismo) rappresentano la terza causa di demenza primaria dopo alla malattia di Alzheimer (AD) e la demenza a corpi di Lewy (LBD) o la seconda causa dopo l’AD, se si considera la fascia d’età tra i 45 e 65 anni. Visto l’esordio tipicamente in età lavorativa, la malattia tende a modificare in maniera significativa lo stile e la qualità di vita non solo del paziente ma anche del caregiver.

Secondo un recente studio pubblicato su Neurology (The social and economic burden of frontotemporal degeneration) il reddito annuo di una famiglia americana diminuisce in media da 75.000-99.999$ a 12 mesi prima della diagnosi a 50.000-59.000$ a 12 mesi dopo la diagnosi; ciò è dovuto principalmente ai giorni di malattia ed al pensionamento anticipato. Bisogna inoltre considerare anche i costi diretti ed indiretti di malattia che corrispondono rispettivamente a 47.916$ e 71.737$ anno per paziente.

Il costo totale risulta quindi essere di 119.654$, pari a quasi due volte quello stimato per un soggetto affetto da AD. Risulta molto importante notare come siano i disturbi comportamentali a determinare un aumento significativo dei costi diretti (imputabili anche al costo dei farmaci); fra tutti i sottotipi è, infatti, la variante comportamentale della demenza fronto-temporale ad avere il più alto costo diretto.

Non bisogna neppure tralasciare l’impatto della malattia sui familiari: ben il 67% di chi si prende cura dei malati riferisce un declino sostanziale del suo stato di salute. L’impegno costante che la malattia determina nei parenti del paziente impone spesso la necessità di assumere una figura assistenziale esterna: circa un terzo (31.6%) compie questa scelta.

Infine, è importante sottolineare come il 58% dei soggetti con FTD abbia compiuto nel corso della malattia scelte economiche azzardate, andando a ledere il già compromesso reddito familiare. Da questi dati risulta chiaro come, sebbene l’FTD abbia una minore prevalenza rispetto all’AD, abbia un sostanziale impatto economico sia per il sistema sanitario sia per il nucleo familiare: è quindi necessario utilizzare queste informazioni per stilare un’agenda mirata alla gestione dei pazienti affetti da questa patologia nonché potenziare la ricerca per scoprire potenziali target terapeutici. Infatti, a tutt’oggi, non esiste ancora alcun farmaco specifico per questa malattia.

Tuttavia, bisogna puntualizzare come lo studio sia stato condotto negli Stati Uniti e che quindi bisogna interpretare con la giusta cautela i dati emersi, vista la ben nota differenza di welfare e di stile di vita tra gli U.S.A. ed il nostro paese.

L’articolo di riferimento è consultabile in open access presso il seguente sito internet: http://www.neurology.org/content/early/2017/10/04/WNL.0000000000004614.short

Andrea Plutino, Ancona

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