Il disturbo dello spettro della neuromielite ottica (neuromyelitis optica spectrum disorders; NMOSD) è una malattia infiammatoria autoimmune del sistema nervoso centrale (SNC) caratterizzata da attacchi ricorrenti che colpiscono principalmente il nervo ottico e il midollo spinale. Le ricadute possono portare a grave disabilità a causa delle numerose sequele che possono cumularsi nel tempo.
Nel 70% dei casi è possibile riscontrare la presenza di anticorpi contro l’acquaporina 4 (AQP4-IgG) (proteina di membrana integrale espressa sulle superficie degli astrociti). Recenti evidenze hanno mostrato l’implicazione dell’interleuchina 6 (IL-6) nella patogenesi della NMOSD. L’IL-6 è una citochina pro-infiammatoria secreta dagli immunociti e dagli astrociti attivati, che promuove la differenziazione dei linfociti B in plasmablasti e dei linfociti T naive in Th17 o linfociti T citotossici che a loro volta inducono il differenziamento delle cellule B in plasmacellule produttrici di AQP4-IgG. Interferire nel pathway dell’IL-6 potrebbe, quindi, influenzare l’attività della malattia attraverso molteplici percorsi: riduzione della produzione di autoanticorpi AQP4-IgG, inibizione della differenziazione pro-infiammatoria delle cellule T e riduzione della permeabilità della barriera emato-encefalica.
Recentemente è stata identificata un’ulteriore classe di anticorpi diretti contro la glicoproteina oligodendrocitica mielinica (MOG-Ig) andando a costituire un vero e proprio spettro di sindrome MOG correlate (MOGAD – MOG associated disease), ossia un’entità molto ampia e varia di disturbi infiammatori del SNC. Tali anticorpi sarebbero direttamente coinvolti nella demielinizzazione, ma il ruolo esatto dell’IL-6 nelle sindromi MOG correlate ad oggi non è ancora chiaro.
Mentre per il trattamento negli attacchi acuti gli steroidi per via endovenosa sono considerati la prima linea dalla comunità scientifica, per quanto riguarda l’utilizzo di farmaci in grado di prevenire le recidive di malattia, la situazione è più complessa. Fino ad ora, azatioprina, micofenolato mofetile e rituximab sono stati utilizzati off-label per ridurre il rischio di recidiva di NMOSD e MOGAD. Purtroppo, nonostante il loro utilizzo, diversi pazienti hanno continuato ad avere attacchi talvolta gravi.
Nuovi farmaci si delineano all’orizzonte: alcuni di essi sono anticorpi monoclonali specifici per il trattamento di questa malattia, ispirati dal ruolo chiave che l’IL6 assume nella patogenesi della NMOSD.
Satralizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che agisce come antagonista del recettore dell’IL-6. Esso si lega sia al recettore di membrana che al recettore solubile dell’IL-6, bloccando la sua via di segnale coinvolta nell’infiammazione. Satralizumab viene somministrato per via sottocutanea permettendo così buona compliance. È stato studiato in modo da dissociarsi dal suo recettore con una modalità pH dipendente: il satralizumab una volta legatosi ed aver inattivato il suo recettore di membrana sulla cellula B, viene internalizzato nei ribosomi dove a pH inferiore si dissocia dal suo recettore. Satralizumab viene poi trasportato dal FcRn (un recettore adibito al riciclo delle immunoglobuline dagli endosomi al plasma) al plasma rendendosi così disponibile ad un nuovo legame.
In un trial di fase 3 pubblicato sul New England (Yamamura et al.) è stata valutata la percentuale di assenza di ricadute (relapse free – RF) nei pazienti in trattamento vs. placebo. I dati hanno mostrato che satralizumab, aggiunto al trattamento immunosoppressore, riduce la percentuale di ricadute comparato al solo trattamento con immunosoppressore: 20% (8/41 pazienti nei pazienti che ricevevano anche satralizumab) vs 43% (18/42 pazienti nei pazienti che ricevevano solo l’immunosoppressore). Per i pazienti AQP4-IgG-sieropositivi, satralizumab ha mostrato ridurre significativamente le recidive comparato al solo trattamento con immunosoppressore: 11% (5/14 pazienti che ricevevano satralizumab) vs 43% (6/14 pazienti che ricevevano placebo). Satralizumab inoltre ha mostrato un’azione ritardata nel tempo: la sua massima efficacia si è raggiunta a 48 settimane (74% dei pazienti RF) mentre a 130 settimane (51% dei pazienti RF), tale risultato si è mantenuto stabile per 3 anni. Per i pazienti AQP4-IgG-sieronegativi, satralizumab non ha ridotto significativamente le recidive – 36% (5/14 pazienti che ricevevano satralizumab) vs 43% (6/14 pazienti che ricevevano placebo). La sua efficacia superiore nei pazienti sieropositivi spiega l’indicazione esclusiva del satralizumab per i pazienti AQP4 positivi, resta comunque off label (può essere erogato in modalità “legge 648”) per la NMNOSD sieronegativa.
Tocilizumab è un altro anticorpo monoclonale umanizzato che lega il recettore dell’IL-6 approvato per il trattamento della NMOSD. È approvato per il trattamento dell’artrite reumatoide, dell’artrite idiopatica giovanile sistemica, dell’arterite a cellule giganti negli adulti e per l’uso off-label per la malattia di Castleman e l’uveite ricorrente. Viene somministrato al dosaggio di 8mg/kg con un’infusione endovenosa ogni 4 settimane. In un trial di fase 2 (studio TANGO) è stata confrontata l’efficacia del Tocilizuamb rispetto all’Azatioprina nel prevenire le ricadute nei pazienti AQP4 positivi. I risultati hanno mostrato una riduzione delle ricadute a 2 anni: i pazienti RF trattati con Tocilizumab erano l’86% rispetto al 48% di quelli trattati con Azatioprina. Il numero di pazienti sieronegativi per AQP4-IgG è risultato insufficiente per valutare le differenze di efficacia tra i due gruppi. Per quanto riguarda i pazienti MOG positivi, il Tocilizumab è stato sperimentato anche ad un dosaggio di 162 mg a settimana per via sottocutanee in formulazione standard, indipendentemente dal peso dei pazienti. Pochi sono gli studi sia sul Satralizumab che sul Tocilizumab nei pazienti NMOSD anti MOGAD, ad ogni modo i dati sembrerebbero mostrare una riduzione delle ricadute in entrambi i trattamenti anche se il meccanismo d’azione è ancora poco chiaro. Sebbene sia i pazienti MOGAD positivi che NMOSD abbiano diversi fenotipi clinici e patogenetici sottostanti, è stato osservato che entrambi sono caratterizzati da un aumento dei livelli di IL-6 sia nel siero che nel liquido cerebrospinale (CSF), in particolare durante le recidive suggerendo simili potenziali implicazioni terapeutiche.
Il blocco della segnalazione di IL-6 sembra possa rappresentare un’importante strategia terapeutica per i pazienti NMOSD refrattari, in particolare per i non-responder al rituximab. La somministrazione sottocutanea sembra avere la stessa efficacia della somministrazione per via endovenosa ed è sicuramente più gestibili per i pazienti. Inoltre, i pazienti in terapia con rituximab che avevano presentato effetti avversi come la late-onset neutropenia potrebbero essere shiftati verso un bloccante della via del IL-6: è stato osservato infatti che tale effetto avverso presentatosi in alcuni pz in trattamento con rituximab, non si è più ripetuto nei pazienti shiftati a tocilizumab, il che suggerisce il ruolo di tale terapia come alternativa per questa rara complicanza nei pazienti in trattamento con rituximab (sia MOGAD che NMOSD).
Inebilizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega all’antigene di superficie CD19 delle cellule B, approvato a giugno 2020 negli USA per il trattamento della NMOSD positiva agli anti AQP4. L’induzione iniziale è raccomandata in due somministrazioni endovenose singole da 300 mg a distanza di 2 settimane l’una dall’altra. Le dosi successive (a partire da 6 mesi dalla prima infusione) comprendono singole infusioni endovenose da 300 mg somministrate ogni 6 mesi. Rispetto agli anticorpi monoclonali antiCD20, che riconoscono e riducono un piccolo sottogruppo di linfociti T che esprimono CD20 (oltre ai linfociti B), anticorpi antiCD19 riconoscono e riducono una gamma più ampia di linfociti esclusivamente dalla linea B cellulare.
In uno studio randomizzato placebo-controllo, un trial di fase 2/3, è stata dimostrata l’efficacia di inebilizumab rispetto al placebo nel ridurre i rischi di recidiva, la disabilità, l’attività radiologica di malattia e l’ospedalizzazione correlata a malattie. La maggior parte dei partecipanti allo studio, 213 su 230 (93%), erano sieropositivi per gli anticorpi anti-AQP4; 161 pazienti sono stati assegnati al gruppo di inebilizumab e 52 al gruppo placebo. La percentuale di ricadute nel gruppo Inebilizumab si è attestata all’11% rispetto al 42% del gruppo placebo. Al giorno 197 (la fine del periodo di controllo randomizzato dello studio), un numero significativamente inferiore di pazienti nel gruppo inebilizumab rispetto al gruppo placebo (16% vs 34%) ha avuto un peggioramento della disabilità all’EDSS. Come per il tocilizumab non è stato possibile valutare l’efficacia di inebilizumab nella popolazione sieronegativa AQP4-IgG a causa del piccolo numero di partecipanti a questa coorte (3 ricadute si sono verificati in 13 destinatari di inebilizumab contro 0 attacchi in 4 destinatari del placebo).
Eculizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che impedisce la scissione del fattore C5 del complemento in C5a, molecola con attività proinfiammatoria, e C5b, che coordina la formazione del complesso di attacco della membrana (MAC). In uno studio che ha coinvolto 14 pazienti AQP4-IgG positivi e clinicamente attivi, l’uso di eculizumab ha ridotto la frequenza delle recidive. È stato condotto uno studio di fase 3, randomizzato, in doppio cieco, farmaco vs placebo PREVENT (Prevention of Relapses in Neuromyelitis Optica) per valutare l’efficacia e la sicurezza di eculizumab nei pazienti NMOSD con AQP4-IgG positivi. Ai pazienti è stata somministrata una dose di 900 mg di eculizumab settimanalmente per le prime quattro settimane di trattamento ed un regime di mantenimento di 1200 mg ogni 2 settimane fino alla ricaduta, all’interruzione o alla fine dello studio. È stato osservato che Eculizumab riduceva il rischio di ricaduta del 94% rispetto al placebo (3/96 nel gruppo eculizumab vs 20/47 nel gruppo placebo). Tale riduzione del rischio è persistita a 48 (98% in eculizumab vs 63% nel gruppo placebo) e 144 settimane (96% in eculizumab vs 45% nel gruppo placebo). Eculizumab può essere considerato un immunomodulatore del sistema immunitario innato senza effetti sull’immunità acquisita. Bloccando il sistema del complemento, eculizumab aumenta il rischio di infezione da meningococco e batteri capsulati. Nello studio tutti i pazienti hanno ricevuto la vaccinazione da meningococco e non sono stati riportati casi di infezione ad esso associate. È stato registrato un decesso per empiema polmonare ma ad opera di microrganismi (S. intermedius e P. micros) non associati a carenza di complemento. Gli svantaggi sono la frequenza e la via di somministrazione, insieme al costo significativo.
La somministrazione di immunoglobuline endovenose (IVIG) ha un’azione pleiotropica sul sistema immunitario: neutralizza gli autoanticorpi, accelera la clearance degli autoanticorpi stessi, inibisce l’attivazione delle cellule dendritiche e la migrazione dei leucociti, inibisce il complemento e blocca i recettori Fcγ delle immunoglobuline. Gli immunosoppressori, se usati per periodi prolungati, sono associati a potenziali complicazioni a lungo termine, quindi sono necessarie alternative più sicure. L’uso di IVIG in NMO / NMOSD per il trattamento delle recidive e la prevenzione delle ricadute è stato esplorato in un numero limitato di studi. In uno studio di Viswanathan et al. che ha analizzato 6 pazienti, le IVIG sono state somministrate come terapia di induzione al dosaggio di 0,4 g / kg / die per 5 giorni seguita da 0,4 a 1,0 g / kg / die ogni 2-3 mesi come terapia di mantenimento per la prevenzione delle ricadute. Periodi inter-infusionali più lunghi, da 4 a 5 mesi, sembrano essere associati a una maggior rischio di ricaduta. Tutti i pazienti hanno mostrato una riduzione del numero totale di recidive dopo IVIG e cinque pazienti su sei (83%) hanno mostrato una riduzione del tasso di ricadute annuali con il 50% (3/6) privo di recidive. Altri pochi casi sono descritti in letteratura; è stato riportato anche l’utilizzo in un paziente con mielite trasversa in età pediatrica ma i dati sono ancora scarsi, ulteriori studi saranno necessari per chiarirne l’efficacia.
In conclusione, nuovi approcci terapeutici per la neuromielite ottica sono in via di sviluppo e sempre più armi giorno dopo giorno vengono messe a nostra disposizione per combattere questa malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Nuovi scenari potrebbero derivare da nuovi schemi terapeutici dati dalle combinazioni di questi farmaci così da aiutare a prevenire le ricadute e a mantenere stabili i pazienti: ad esempio si potrebbe utilizzare l’eculizumab per la sua rapidità di efficacia come prima linea e successivamente passare al sartralizumab per stabilizzare il paziente. Il vantaggio di questi due agenti è che non vi è alcun effetto sull’immunità acquisita (eculizumab) e vi è solo un effetto immunomodulante senza immunosoppressione (satralizumab) del sistema immunitario acquisito. Una strategia ideale potrebbe prevedere l’utilizzo contemporaneo dei 2 farmaci per consentire un contenimento rapido dell’attività infiammatoria della malattia (tramite eculizumab) in attesa del raggiungimento dell’efficacia del satrilizumab. Tali approcci terapeutici necessitano di maggiori dati e più studi per abbattere i rischi di effetti avversi e di ricadute nei pazienti NMOSD.
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Antonio De Martino – Università Magna Graecia di Catanzaro
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Gianmarco Abbadessa – Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”
gianmarcoabbadessa@gmail.com