La Sclerosi Multipla è una patologia del sistema nervoso centrale, ad eziologia non nota e con un duplice meccanismo patogenetico: neuro-infiammatorio e neuro-degenarativo. A seconda che prevalga l’uno o l’altro meccanismo vengono a definirsi 4 forme di malattia: forma recidivante-remittente (RR) con poussès seguite da recupero più o meno completo (90% delle forme, assenza di marcata disabilità); forma secondaria progressiva (SP) ossia simile alla forma precedente ma dopo qualche anno di malattia le poussès scompaiono e si procede verso una lenta progressione della disabilità; forma primaria progressiva (PP) ove la progressione della disabilità si ha sin dall’inizio senza recidive cliniche e forma progressiva con poussè (RP) ove all’interno della progressione sintomatologica si inseriscono periodi di esacerbazioni brusche.
Ad oggi, lo scenario terapeutico conta moltissimi farmaci in grado di agire in maniera incisiva sulla componente infiammatoria. Ciò ha comportato, nel corso degli anni, un cambiamento radicale della qualità di vita e della disabilità dei pazienti.
Per tal motivo, questi farmaci vengono denominati DMT (Disease Modifying Therapy), in quanto in grado di modificare il decorso della patologia.
I farmaci vengono generalmente suddivisi, a seconda dell’efficacia (riduzione del tasso di ricadute e della disabilità del paziente e prevenzione nella formazione di nuove lesioni o l’ingrandimento di vecchie lesioni demielinizzanti in risonanza magnetica), nel seguente modo:
Terapie di I linea (forme RR a bassa attività):
Interferone- beta 1b (Extavia 250mcg, Betaferon)
Interferone-beta 1 a (Rebif 44 mcg, Rebif 22 mcg, Avonex 30mcg, Plegridy 125mcg)
Glatiramer Acetato (Copaxone 40, Copaxone 20)
Teriflunomide (Aubagio 14mg)
Dimetylfumarato (Tecfidera 120mg, 240mg)
Daclizumab (Zynbrita)
Terapie di II linea (forme RR ad alta attività o non responsive a farmaci di I linea)
Fingolimod (Gilenya 1mg,)
Natalizumab (Tysabri 300mg)
Ocrelizumab (Ocreus 300-600mg à in via di approvazione per le forme RR, approvata per le forme PP)
Terapia induttrici
Alemtuzumab (Lemtrada 12mg)
Mitoxantrone
Cladribina
Ciclofosfamide
Proviamo a ricapitolare le principali caratteristiche dei farmaci più promettenti, aspettando altre novità che arriveranno presto (per approfondimenti si rimanda a specifiche monografie).
Farmaco immunomodulatorio con proprietà antinfiammatorie che inibisce in modo selettivo e reversibile l’enzima mitocondriale diidroorotato deidrogenasi (DHO-DH), necessario per la sintesi de novo della pirimidina. Di conseguenza, la teriflunomide riduce la proliferazione delle cellule in divisione che necessitano della sintesi de novo della pirimidina per espandersi. Indicato per il trattamento di pazienti adulti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente. L’efficacia di AUBAGIO è stata dimostrata in due studi controllati con placebo, TEMSO e TOWER. Lo schema posologico prevede l’assunzione di una compressa da 14mg una volta /die.
Prima del trattamento è necessario monitorare l’emocromo, funzionalità epatica e pressione arteriosa, quest’ultima va monitorata frequentemente nei primi mesi, mentre le analisi di laboratorio vengono effettuate al primo e al terzo mese dopo l’inizio della terapia e poi semestralmente. Tra gli effetti collaterali sono descritti aumento della pressione arteriosa, aumento degli enzimi epatici, lieve riduzione della conta leucocitaria, rarissimi casi di neuropatia periferica rientrati alla sospensione, e alopecia nel senso di assottigliamento dei capelli, diminuzione della densità dei capelli, perdita di capelli (15,2% dei casi). Durante il trattamento è necessario utilizzare un efficace metodo contraccettivo, dato l’alto rischio di teratogenicità. Nel caso di gravidanza inaspettata o di reazioni avverse gravi è necessario sospendere il farmaco e praticare la procedura di eliminazione rapida (somministrare 8 g di colestiramina 3 volte al giorno per un periodo di 11 giorni; se questa dose non è tollerata, si possono somministrare 4 g di colestiramina tre volte al giorno o, in alternativa, somministrare 50 g di carbone attivo in polvere ogni 12 ore per un periodo di 11 giorni)
Farmaco orale di I linea, in passato usato per la psoriasi. L’approvazione da parte della Commissione Europea è avvenuta nel 2013 sulla base di due trial clinici globali di Fase 3, il DEFINE (vs placebo) e il CONFIRM (vs glatiramer acetato), e su un ulteriore studio di estensione l’ENDORSE.
In base a tali studi, è stata dimostrata l’efficacia nel ridurre in modo significativo i parametri di attività di malattia, tra cui le recidive e lo sviluppo di lesioni cerebrali, e nel rallentare la progressione di disabilità, dimostrando nel contempo un profilo favorevole di tollerabilità e sicurezza.
Il suo meccanismo d’azione non è chiaro ma ha effetti antiinfiammatori e citoprotettivi per attivazione della via Nrf2. Il farmaco è assunto al dosaggio di 120mg per 2/die a stomaco pieno per la prima settimana e successivamente al dosaggio di 240mg per 2/die. Prima dell’inizio del trattamento è necessario valutare l’emocromo, la funzionalità epatica e renale. Successivamente, vanno ricontrollati gli stessi parametri al primo e al terzo mese e poi a cadenza semestrale (attenzione alla leucopenia, a volte associata). I maggiori effetti collaterali sono di tipo gastrointestinale (nausea, pirosi, dolore addominale e alvo diarroico), si associa spesso flushing al viso, che anche se innocuo può risultare fastidioso per il paziente. Le infezioni opportunistiche sono rare, sono stati descritti rarissimi casi di Leucoencefalopatia Mutifocale Progressiva (PML), correlati all’eccessiva linfopenia.
Il farmaco va sospeso in previsione di una gravidanza e durante l’allattamento.
Daclizumab è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato che si lega a CD25 (IL-2Rα) e inibisce il legame tra IL-2 e CD25. Daclizumab modula il segnale dell’IL-2 bloccando il segnale del recettore dell’IL-2 ad alta affinità, CD25-dipendente, con conseguente disponibilità di maggiori livelli di IL-2 che legano il recettore dell’IL-2 ad affinità intermedia. Gli effetti fondamentali di tale modulazione della via del segnale dell’IL-2 comprendono l’antagonismo selettivo delle risposte delle cellule-T attivate, e l’espansione delle cellule immunoregolatorie CD56bright natural killer (NK), che diminuiscono selettivamente i linfociti T attivati. Zinbryta è indicato per il trattamento della sclerosi multipla nelle forme recidivanti con elevata attività di malattia nonostante un ciclo di trattamento completo e adeguato con almeno una terapia “disease-modifying” , oppure con sclerosi multipla recidivante severa ad evoluzione rapida, che non siano idonei al trattamento con altre terapie “disease-modifying”. L’efficacia di Zinbryta è stata dimostrata in due studi (SELECT e DECIDE) nei pazienti con sclerosi multipla recidivante. Lo studio SELECT uno studio randomizzato, in doppio cieco vs placebo, lo studio DECIDE uno studio randomizzato, in doppio cieco, vs interferone beta-1a (intramuscolo). La dose raccomandata di Zinbryta è di 150 mg iniettati per via sottocutanea una volta al mese. Prima dell’inizio del trattamento è necessario valutare la funzionalità epatica, successivamente alla prima somministrazione, i parametri vanno seguito ogni mese, fino a 4 mesi dopo la sospensione del trattamento. Il trattamento va interrotto quando i livelli delle transaminasi superino di 5 volte il range di normalità oppure di 3 volte il range di normalità associato a un valore di bilirubinemia doppio rispetto al valore basale. Altri effetti collaterali, al di là del danno epatico severo (epatiti fulminanti e possibili epatiti autoimmuni) comprendono reazioni cutanee nel sito di iniezioni, linfopenia, e rare reazioni gastrointestinali e casi di anemia emolitica autoimmune.
A giungo 2017, circa 1 anno dopo l’approvazione, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha iniziato una revisione del medicinale Zinbryta a seguito di un decesso per insufficienza epatica fulminante e di quattro casi di danno epatico grave. Ad oggi, il comitato per la valutazione dei rischi per la farmacovigilanza dell’Ema ha deciso di limitare l’uso del farmaco, avendo appurato che durante il trattamento con daclizumab può verificarsi un danno epatico immuno-mediato imprevedibile e potenzialmente fatale, e fino a sei mesi dopo la sospensione. Negli studi clinici, fino all’’1,7% dei pazienti ha presentato una grave reazione epatica. Secondo le nuove indicazioni del Comitato europeo, al fine di ridurre i rischi, i medici dovrebbero ora prescrivere la nuova molecola solo per pazienti che hanno avuto una risposta inadeguata ad almeno due terapie modificanti la malattia (DMT) e non possono essere trattati con altri medicinali.
E’un farmaco orale di II linea, antagonista del recettore della sfingosina 1 fosfato, blocca pertanto l’uscita di linfociti (principalmente CCR7+ CD4+ e cellule T di memoria naive e centrali) dai linfonodi, determinando una leucopenia “fittizia”.
E’ stata riscontrata un’associazione con la riattivazione del Virus della Varicella Zoster (VZV), per tale motivo è mandatorio prima della prescrizione, dosare gli anticorpi contro la varicella e in caso di assenza delle Ig G VZV è necessario vaccinare il paziente.
Prima dell’inizio della terapia è importante, inoltre, eseguire una visita dermatologica per mappatura nei, e una visita oculistica con esame del fondo oculare da ripetere annualmente data l’associazione con lesioni maligne della pelle e maculopatia. Vanno monitorati l’emocromo e la funzionalità epatica nel primo e terzo mese e successivamente a cadenza semestrale.
Il farmaco va assunto 1 volta/die, indipendentemente dai pasti. Solamente la prima assunzione della compressa va monitorata elettrocardiograficamente per 6 ore poiché i recettori della sfingosina 1 fosfato sono presenti anche a livello cardiaco e potrebbe verificarsi pertanto una bradicardia e/o allungamento del QT. Il farmaco va sospeso in previsione di una gravidanza e durante l’allattamento.
E’ un anticorpo monoclonale umanizzato che riconosce le integrina alfa4 e interviene nella loro interazione con la molecola di adesione VCAM-1, ciò comporta una riduzione della migrazione dei leucociti dal sangue al SNC. E’ nota l’associazione tra Tysabri e Leucoencefalopatia Primaria Prograssiva (PML) ed è per questo che prima e durante il trattamento viene monitorato a cadenza trimestrale o semestrale il titolo degli anticorpi Anti-JCV. Esistono stime di rischio aggiornate per lo sviluppo di PML: se si ha negatività (<0,25) degli anticorpi il rischio rimane 0,1/1000 pazienti indipendentemente dal numero di infusioni, se si ha positività degli anticorpi il rischio viene stratificato sulla base del titolo anticorpale (se <0,9 o se >0,9ma <1,5 o se >1,5) del numero di infusioni e di precedenti terapie immunosoppressive.
La terapia si effettua per via endovenosa ogni 28 giorni, dopo aver preso visione dell’emocromo effettuato mensilmente, che come risposta al farmaco presenterà un innalzamento dei linfociti in circolo. Gli effetti collaterali tolto il rischio di PML, sono legati per lo più all’infusione (cefalea), e al rischio di comuni infezioni batteriche (cistiti, tonsilliti).
Anticorpo monoclonale umanizzato anti CD 20+ che determina una deplezione dei linfociti B circolanti ma non di cellule staminali o plasmacellule, consentendo così di preservare importanti funzioni del sistema immunitario. I linfociti B stanno acquisendo un ruolo sempre più importante nel melieu patogenetico della malattia e sono ad oggi considerati tra i principali responsabili del danno alla mielina. L’approvazione del farmaco è avvenuta nel novembre u.s. per le forme con attività di malattia e le forme primariamente progressive, sulla base di 3 studi clinici: due identici di Fase III (OPERA I e OPERA II) sulla sclerosi multipla recidivante (SMR) hanno dimostrato l’efficacia nel dimezzare il numero di recidive su base annua, oltre che nel rallentare significativamente la progressione della malattia rispetto a interferone beta-1a ad alto dosaggio in due anni di trattamento. In questi studi sono stati ampiamente soddisfatti i criteri di NEDA (assenza di evidenze di attività della malattia) ossia assenza di lesioni a livello cerebrale, ricadute e/o peggioramento della disabilità; in un terzo studio di Fase III sulla sclerosi multipla primariamente progressiva (ORATORIO), Ocrelizumab è stata la prima e unica terapia a rallentare in maniera significativa la progressione della disabilità e a ridurre i segni di attività della malattia a livello cerebrale (lesioni rilevate alla risonanza magnetica) rispetto al placebo, con follow-up mediano di tre anni.
Prima della somministrazione è necessario effettuare i markers dell’epatite B e C e valutare la funzionalità epatica, e renale. La I infusione viene effettuata dividendo la dose in due somministrazione (300mg+300mg) distanziate di 14 giorni, le successive infusioni vengono effettuate a distanza di 6 mesi. E’ necessario monitorare prima della successiva infusione il titolo dei linfociti CD4+, ove quando inferiori a 450 è controindicata la somministrazione; nel monitoraggio di pazienti donne è buona pratica clinica inserire un esame ecografico o radiografico della mammella, data la recente possibile associazione del cancro alla mammella. Le reazioni avverse più comuni sono legati all’infusione ove sono stati descritti per lo più cefalea e ipotensione arteriosa, mentre a lungo termine gli effetti collaterali sono legati ad una maggiore esposizione a infezioni virali e/o batteriche.
E’ un anticorpo monoclonale umanizzato anti CD 52, un antigene superficiale delle cellule presente in alte concentrazioni sui linfociti T (CD3+) e B (CD19+) e in concentrazioni più basse sulle cellule natural killer (NK), monociti e macrofagi. Pertanto mediante citolisi delle cellule anticorpo-dipendente e lisi mediata da complemento a seguito del legame fra la superficie della cellula e i linfociti T e B, diminuisce in maniera considerevole il numero delle cellule B e T con successivo ripopolamento e successiva duratura riconfigurazione del sistema immunitario adattativo con preponderanza di cellule regolatorie.
Gli anticorpi anti CD 52 causano un deficit dell’immunità cellulo-mediata precoce e che persiste per 9 mesi circa dopo l’interruzione del trattamento. Detto più semplicisticamente, resetta il sistema immunitario.
La sicurezza e l’efficacia di LEMTRADA sono state valutate in 2 studi clinici randomizzati, in cieco, con comparatore attivo (CARE-MS I) (CARE-MS II) ed è stato approvato nel settembre 2013
Prima della terapia vanno valutati emocromo, funzionalità epatica e renale, Ig G e Ig M VZV, Herpes simplex tipo I e II, Citomegalovirus, HIV- test, quantiferon, funzionalità tiroidea e autoanticorpi (compresi anti-TSH), markers epatitici, sottopopolazioni linfocitarie ed eventuale PAP- test. La terapia induttiva va somministrata secondo lo schema posologico di 2 cicli di trattamento: I ciclo per 5 giorni e ciclo di richiamo dopo 1 anno per 3 giorni. Prima di ogni somministrazione i pazienti vengono pre-trattati con corticosteroidi (1.000 mg di metilprednisolone immediatamente prima della somministrazione in ciascuno dei primi 3 giorni di ogni ciclo di trattamento e 500mg nei successivi due giorni del I ciclo di trattamento), con antistaminici e/o antipiretici.
Durante l’infusione gli effetti collaterali più attesi sono cefalea, febbre da rilascio di citochine, ipertensione e/o ipotensione, bradicardia e/o tachicardia, eruzione cutanea, nausea, orticaria, prurito, insonnia, brividi, rossore, affaticamento, dispnea, dispepsia, capogiro. La profilassi orale per le infezioni erpetiche (200 mg di aciclovir per due volte al giorno) deve essere somministrata a tutti i pazienti a partire dal primo giorno di ogni ciclo di trattamento e per almeno 1 mese dopo il trattamento. Il paziente necessità di monitorare mensilmente emocromo, funzionalità epatica e renale, e esame urine, trimestralmente sottopopolazioni linfocitarie e funzionalità tiroidea, annualmente le pazienti femmine devono eseguire lo screening per il test HPV (infezione cervicale da papilloma virus umano (HPV), compresa la displasia della cervice nel 2% dei casi). Gli effetti collaterali a breve termine sono correlati alla immunodepressione conseguente, con maggiori probabilità di contrarre infezioni (listeriosi/Listeria meningitis è stata segnalata generalmente entro un mese dall’infusione, per ridurre questo rischio, i pazienti che ricevono Lemtrada devono evitare il consumo di carne cruda o poco cotta, formaggi molli e latticini non pastorizzati per almeno un mese dopo il trattamento) o sviluppo di infezioni micotiche superficiali (candidiasi della bocca e della vagina nel 12% dei casi), mentre a lungo termine il trattamento può determinare la formazione di autoanticorpi e un aumento del rischio di malattie autoimmuni mediate, compresi la porpora trombocitopenica idiopatica (ITP, nell’1% dei pazienti negli studi clinici, a 14-36 mesi dopo I ciclo di trattamento), disturbi della tiroide (nel 36% dei pazienti, entro 48 mesi dalla I somministrazione) o, raramente, nefropatie (ad es. la malattia anti membrana basale glomerulare, 0,3% entro 39 mesi dopo l’ultima somministrazione)
La cladribina è un analogo nucleosidico della deossiadenosina. Una sostituzione del cloro nell’anello purinico protegge la cladribina dalla degradazione da parte dell’adenosina deaminasi e aumenta così il tempo di permanenza intracellulare del profarmaco cladribina. La successiva fosforilazione della cladribina alla forma attiva (Cd-ATP), è particolarmente efficace nei linfociti, a causa dei livelli costitutivamente elevati di deossicitidina chinasi (DCK) e ai livelli relativamente bassi di 5′-nucleotidasi (5′-NTasi). Un rapporto DCK/5′-NTasi elevato favorisce l’accumulo di Cd-ATP e rende i linfociti particolarmente suscettibili alla morte cellulare. Un rapporto basso DCK/5′-NTasi presente in altre cellule di origine midollare determina meno accumulo di cladribina e le rende meno sucettibili dei linfociti al danno Cd-ATP mediato. DCK è l’enzima limitante la velocità di conversione del profarmaco cladribina nella forma trifosfato attiva, con conseguente deplezione selettiva delle cellule T e B in divisione e non. Il meccanismo d’azione principale del Cd-ATP è l’induzione di apoptosi che ha effetti diretti e indiretti sulla sintesi del DNA e sulla funzione mitocondriale. Nelle cellule in divisione, il Cd-ATP interferisce con la sintesi del DNA, mentre nelle cellule in fase di riposo, induce rotture del DNA a singola elica, consumo rapido di nicotinammide adenina dinucleotide, deplezione di ATP e morte cellulare. Vi è evidenza che la cladribina possa indurre anche apoptosi diretta dipendente e indipendente dalla caspasi tramite il rilascio di citocromo-c e fattori di induzione dell’apoptosi nel citosol delle cellule non in divisione. Variazioni dei livelli di espressione di DCK e 5′-NTasi tra sottotipi di cellule immunitarie potrebbero spiegare le differenze di sensibilità delle cellule immunitarie alla cladribina. A causa di questi livelli di espressione, le cellule del sistema immunitario innato sono meno colpite delle cellule del sistema immunitario acquisito.
L’efficacia e la sicurezza clinica di cladribina orale sono state valutate in uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo (CLARITY). L’obiettivo dello studio è stata la valutazione dell’efficacia della cladribina rispetto al placebo nel ridurre il tasso annualizzato di recidiva (annualised relapse rate, ARR) (endpoint primario) e nel rallentare la progressione della disabilità e nel ridurre le lesioni attive. E’ indicato per il trattamento di pazienti adulti con sclerosi multipla (SM) recidivante ad elevata attività, definita da caratteristiche cliniche o di diagnostica per immagini.
La dose raccomandata è di 3,5 mg/kg di peso corporeo in 2 anni, somministrata come 1 ciclo di trattamento da 1,75 mg/kg per anno. Ogni ciclo di trattamento consiste di 2 settimane di trattamento, una all’inizio del primo mese e una all’inizio del secondo mese dell’anno di trattamento corrispondente. Ogni settimana di trattamento consiste di 4 o 5 giorni in cui il paziente assume 10 mg o 20 mg (una o due compresse) come singola dose giornaliera, in base al peso corporeo. Prima dell’inizio del trattamento la conta leucocitaria deve essere normale, e prima del II ciclo di trattamento deve essere maggiore di 800 cellule/mm3, altrimenti il ciclo di trattamento nell’anno 2 può essere rimandato per un massimo di 6 mesi per consentire il recupero dei linfociti. Prima dell’inizio del trattamento vanno esclusi stati di immunodeficienza, neoplasie attive, infezioni croniche come HIV, tubercolosi e epatite B e C, eventuale assenza di Ig G per la Varicella Zoster. Le donne in età fertile durante il trattamento dovrebbero utilizzare efficaci metodi contraccettivi, fino a 6 mesi dopo l’assunzione dell’ultima dose. Gli effetti collaterali più comuni sono legati a linfopenia e riattivazioni di herpes simplex o zoster.
Sara Casertano, Napoli