La disfagia post stroke è una complicanza che si riscontra frequentemente nella pratica clinica. Questa condizione comune viene valutata e trattata da diverse figure professionali, inclusi medici, logopedisti ed infermieri, ma è possibile che non tutti gli aspetti, dalla fisiopatologia al trattamento, siano completamente chiari a tutti gli attori che intervengono su di essa nelle varie fasi del ricovero ospedaliero e in struttura riabilitativa.
Una recente review ha cercato di fare una sintesi chiara su quali aspetti sia più utile conoscere, dalla fase acuta a quella in cronico. (Jones CA, Colletti CM, Ding MC. Post-stroke Dysphagia: Recent Insights and Unanswered Questions. Curr Neurol Neurosci Rep. 2020 Nov 2;20(12):61. doi: 10.1007/s11910-020-01081-z. PMID: 33136216; PMCID: PMC7604228.)
Per quanto riguarda i fattori predittivi dello sviluppo della disfagia, sono maggiormente a rischio i pazienti anziani, con NIHSS ed mRS elevato, con lesioni di grandi dimensioni (quindi infarto legato ad occlusione di un grosso vaso), i pazienti con stroke emorragico, coinvolgimento sottocorticale e del tronco, decadimento cognitivo, e infine i pazienti disartrici e/o ipofonici. Stante il fatto che il meccanismo della deglutizione comporta il coinvolgimento di numerose aree motorie e sensitive, non è stata individuata una sede lesionale discreta associabile ad una compromissione completa del meccanismo deglutitorio.
La valutazione iniziale fatta al letto del paziente è considerata una pratica necessaria per la valutazione della deglutizione, tuttavia sono sempre più necessari strumenti che forniscano descrizioni più oggettive e dettagliate di questa funzione. La video fluoroscopia, ad esempio, grazie ad una serie di algoritmi fornisce informazioni sulla dinamica oro-faringea, sui muscoli che intervengono e sul tempo di transito del bolo nei primi segmenti del sistema digestivo. Un’altra metodica che sta emergendo recentemente e che tende ad essere ancora più obiettiva è la manometria ad alta risoluzione. Nei pazienti con stroke, in particolare, si possono osservare una ridotta pressione propulsiva faringea, una anomala pressione di rilassamento dello sfintere esofageo superiore o entrambi. Nei pazienti con coinvolgimento del tronco-encefalo si riscontrano con questa metodica un “mis-sequencing” faringeo, ovvero le pressioni non vengono generate dall’alto al basso ma simultaneamente nei vari segmenti, e il “vacuum swallowing”, in cui l’esofago con lo sfintere esofageo superiore crea pressioni sub atmosferiche per cercare di attrarre verso il basso il bolo.
Le principali conseguenze della disfagia sono rappresentate da malnutrizione, disidratazione e polmoniti ab ingestis. Queste conseguenze inducono un peggioramento degli outcome di recupero fisico e psicosociali, nonché un aumento della durata del ricovero e della mortalità. La polmonite ab ingestis è probabilmente la sequela più nota, sebbene la disfagia sia solo uno dei fattori che concorrono al suo viluppo. Se la disfagia è rilevante, infatti, la disposizione per un paziente di non assumere cibi per os può non essere sufficiente ad evitare l’aspirazione di secrezioni e i reflussi esofagei.
Attualmente per il trattamento della disfagia post ictus sono a disposizione un approccio riabilitativo tradizionale ed alcuni più innovativi. Nell’approccio tradizionale si cerca di focalizzare il training sulla compensazione e su strategie comportamentali; tuttavia la risposta a questa tecnica presenta una elevata variabilità tra diverse popolazioni di pazienti. Tra le nuove metodiche in sperimentazione, due sono quelle maggiormente studiate: la neuro stimolazione e il biofeedback. La neuro stimolazione non invasiva in generale sembra essere efficace nel velocizzare il recupero dopo l’evento acuto, tuttavia il paziente deve essere sufficientemente collaborante nell’eseguire i task richiesti. In questa categoria rientrano la stimolazione elettrica faringea (PES), la stimolazione elettrica neuromuscolare (NMES) – applicata ai muscoli sopra e sotto ioidei, la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS) – che sembra più efficace se eseguita ad alte frequenze in sede controlaterale alla lesione o bilateralmente, la tDCS (transcranial direct current stimulation), e la PAS (paired associative stimulation) – tecnica che prevede l’associazione di una stimolazione centrale con una periferica. Il biofeedback è la seconda tra le nuove metodiche a disposizione negli ultimi anni. Questo prevede l’utilizzo di feedback uditivi o visivi per indurre il paziente a modificare meccanismi più o meno consci legati alla deglutizione, con monitoraggio dei muscoli coinvolti tramite EMG di superficie. Si sta inoltre affinando una ulteriore metodica di biofeeback chiamata “BiSSkiT”, in cui ci si focalizza non solo sull’ampiezza della contrazione muscolare ma anche sulla precisione nella coordinazione dei movimenti.
In conclusione, la disfagia post stroke costituisce un problema di comune riscontro nella pratica clinica e con un importante impatto sull’outcome dei pazienti, per cui sono necessari una corretta e oggettiva valutazione e un trattamento mirato. Nell’ambito riabilitativo in questo campo si stanno aprendo nuovi scenari interessanti, per i quali tuttavia sono necessari ulteriori studi volti a chiarire meglio le basi fisiopatologiche e il corretto management nel training in acuto ed in cronico di questa condizione.
Gabriele Prandin
Università degli studi di Trieste, scuola di specializzazione in Neurologia
prandingabriele@gmail.com