Commento all’articolo di Sposato et al “Atrial fibrillation detected after stroke and transient ischemic attack: a novel clinical concept challenging current views” (DOI: 10.1161/STROKEAHA.121.034777)

La fibrillazione atriale (FA), come è noto, ricopre un ruolo fondamentale nell’eziopatogenesi dello stroke e degli attacchi ischemici transitori (TIA). Circa il 20% degli eventi cerebrali ischemici acuti, infatti, avviene in pazienti con FA nota (known atrial fibrillation – KAF). In un ulteriore 20% dei casi una FA viene invece diagnosticata in seguito all’evento indice, mediante monitoraggio prolungato del ritmo cardiaco (per esempio ECG dinamico o loop recorder); il ruolo della FA diagnosticata in seguito a stroke o TIA (atrial fibrillation detected after stroke – AFDAS), tuttavia, è ancora piuttosto dibattuto.

Esistono delle differenze salienti tra la KAF e la AFDAS; in particolare, la KAF è maggiormente associata ad una cardiopatia sottostante, che si evidenzia ad esempio come una minore frazione d’eiezione del ventricolo sinistro o un maggiore diametro medio dell’atrio sinistro, e a comorbidità vascolari, quindi ad uno score CHADS-VASC più alto. Alla AFDAS si associano invece un maggior coinvolgimento delle cortecce insulari nell’evento ischemico, come pure un apparato cardiovascolare con minori effetti legati all’azione nociva dei fattori di rischio vascolari. In sostanza nella AFDAS intervengono in modo più evidente fattori neurogenici che portano alla FA e tra questi si annoverano diversi meccanismi, tra cui il coinvolgimento autonomico e l’infiammazione conseguente, che conducono alla fibrosi atriale. Questi fattori fanno parte della cosiddetta Stroke-Heart Syndrome, entità che riunisce le alterazioni cardiache associate ad uno stroke (tra cui disfunzione micro vascolare, generazione di aritmie e necrosi dei miocardiociti), alle quali consegue una prognosi più sfavorevole nel breve periodo.

Un concetto ulteriore che emerge dal presente lavoro è la soglia di embolizzazione e la relativa stratificazione del rischio. È convinzione comune che ove sia presente una FA, allora ci sia anche una elevata probabilità di fenomeni embolici; in realtà esistono evidenze che mettono in discussione tale convinzione, rendendola meno netta. In particolare, si deve tener conto del grado di severità della cardiopatia atriale e dei fattori di rischio cardiovascolari sottostanti, in quanto questi favoriscono progressivamente dapprima l’insorgenza di FA e in un secondo momento il fenomeno di embolizzazione. In uno scenario di KAF, in un cuore che presenta già delle alterazioni patologiche entrambi gli eventi (FA ed embolizzazione) avvengono prima di uno stroke ischemico, e quest’ultimo amplifica solamente un processo che è già in itinere. In uno scenario di AFDAS a basso rischio, invece, in un cuore ancora poco rimodellato, è possibile che la fibrillazione atriale esordisca successivamente all’evento ischemico cerebrale e che possa anche non essere immediatamente embolizzante. Tra le due ipotesi sopracitate si trovano i casi di AFDAS ad alto rischio, in cui in pazienti con un quadro già sufficientemente avanzato di rimodellamento cardiaco con alta probabilità di aver già sviluppato una FA, la soglia di embolizzazione venga tuttavia superata solamente grazie al sovrapporsi delle alterazioni cardiache indotte dall’ictus.

I principali fattori predittivi di AFDAS sono il livello ematico di BNP e di troponina; in particolare, un livello di BNP elevato ed una elevazione “cronica” delle troponine sono biomarcatori di fattori cardiogenici coinvolti nello sviluppo di AFDAS, mentre un pattern troponinico di “ascesa e caduta” è più caratteristico di un coinvolgimento insulare, e quindi di fattori neurogenici favorenti la FA.

Dal punto di vista degli effetti a lungo termine, i pazienti con AFDAS in generale hanno un minor rischio di sviluppare stroke rispetto ai pazienti con KAF, sebbene non sia ancora ben chiaro se questo rischio sia maggiore o minore rispetto a quello dei pazienti che non presentano fibrillazione atriale. La mortalità è simile tra AFDAS e KAF, ed in generale è circa il 60% più alta rispetto a quella dei pazienti senza FA. Un ulteriore aspetto che emerge è come AFDAS sia associata ad un aumentato rischio di sviluppo di decadimento cognitivo. La terapia con anticoagulanti orali, che viene usualmente intrapresa nei pazienti con FA, nelle AFDAS riduce il tasso di recidiva e di mortalità rispettivamente del 40% e 30 %, e può ridurre del 40% il rischio di decadimento cognitivo.    

Questo lavoro riassume in forma chiara le differenze tra FA nota ed FA diagnosticata dopo uno stroke o un TIA, analizzandone l’eziopatogenesi e ponendo l’attenzione sui concetti di soglia di embolizzazione e stratificazione del rischio, che in futuro potrebbero essere determinanti nella scelta delle strategie terapeutiche da intraprendere.

Gabriele Prandin

Università degli studi di Trieste, scuola di specializzazione in Neurologia
prandingabriele@gmail.com

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